Albanese: “Il successo del ‘Gatto’? Bastava osservare la realtà”

L'attore ha vinto il Nastro d'Argento come miglior attore di commedia


TAORMINA – È stata una cavalcata entusiasmante e inaspettata quella di Come un gatto in tangenziale, la commedia di Riccardo Milani che ha vissuto un exploit al botteghino e poi è stata incensata e premiata un po ovunque. Ultime tappe di questo trionfo che ha visto protagonisti Paola Cortellesi e Antonio Albanese sono state l’Italian Contemporary Film Festival di Toronto e i Nastri d’Argento assegnati sabato sera nel Teatro Greco di Taormina dal Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici, dove il film ha conquistato la tripletta composta da Miglior commedia e Miglior attore e attrice di commedia.

Qual è stati secondo lei il segreto del successo di Come un gatto in tangenziale?
Mi dicono spesso che individuo i temi in anticipo. Era già successo con Giù al nord, ma io nel ’97 avevo vissuto per sei mesi nelle fabbriche del nord per capire e approfondire. Questo lo dovrebbero fare sia l’arte che la politica, ma la politica non lo ha fatto, non ha vissuto la gente, non l’ha toccata.

Recentemente ha diretto Contromano, sul tema attualissimo delle migrazioni. Alla luce di ciò che sta accadendo cambierebbe qualcosa di quel film?
Nulla, avevo previsto un po’ tutto e Contromano è uno dei miei lavori più eversivi. Il mio desiderio era quello di lavorare su un tono diverso: pacato, dolce, buonista… che non è una brutta parola! Volevo offrire al pubblico una forma di dialogo diversa.

Perché?
Sono figlio di questa terra e quando mio padre l’ha lasciata, 60 anni fa, non lo ha fatto con gioia. È partito per fame, non per capriccio, e i suoi racconti mi hanno tatuato. Se cresci come figlio dell’immigrazione hai una sensibilità diversa. Una capacità di ascolto e uno sguardo diverso.

Cosa può dirci del suo nuovo progetto cinematografico?
Ho appena fatto un lavoro che si intitola L’uomo che prega: è il racconto di un uomo che ha il desiderio di pregare ma non trova la posizione giusta. Questo dice molto della grande confusione sulle religioni di questi tempi, e per raccontarla bisogna andare in ogni luogo e vedere dove si prega in modi diversi. I grandi sceneggiatori dicevano che per scrivere bisogna prendere l’autobus, mischiarsi con le persone.

Cosa dobbiamo aspettarci dal suo progetto televisivo, I topi?
È nato circa due anni fa osservando in tv la cattura di un boss latitante che da tre anni viveva in un seminterrato. Un uomo con un potere economico spaventoso viveva da tre anni in un buco, mangiando pasta col tonno perché non si fidava nemmeno dei propri familiari. L’ho visto uscire dall’armadio con venti persone che gli puntavano il mitra addosso… e quando è uscito ha quasi ringraziato! Ho pensato “sono proprio ridicoli”. Da lì è venuta l’idea di raccontare una famiglia di latitanti che vive sottoterra, è un modo per far capire ai miei figli e ai loro amici che un certo tipo di illegalità è soprattutto ridicola, stupida.

Michela Greco
01 Luglio 2018

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