Claudio Sestieri: “Eros e fantasmi”

In sala dal 22 novembre con Stemo Production Seguimi, interpretato da Angelique Cavallari nel ruolo di una tuffatrice in crisi che fa i conti con se stessa


“Un film al femminile diretto da un uomo (ma cosceneggiato da una donna)”, così (tra le altre cose) Adriano Aprà, che l’ha inserito nel secondo round della sua rassegna Fuorinorma, definisce Seguimi, nuovo lavoro di Claudio Sestieri. Regista intellettuale e cinefilo, poco in linea con la voga realista o iperrealista del cinema italiano, autore minoritario dallo sguardo ben riconoscibile – antonioniano – con titoli, pochi ma curatissimi, al suo attivo come Barocco e Chiamami Salomé. Adesso ha affidato all’attrice italo-francese Angelique Cavallari il ruolo di Marta, ex campionessa olimpica di tuffi bloccata da un incidente che si rifugia in una casa di famiglia a Matera. Lì, in un isolamento che le evoca emozioni profonde, cerca di elaborare il lutto per la morte dei genitori, e in particolare del padre, pittore. E si imbatte in un altro pittore, lo scontroso Sebastian, e soprattutto nella musa di lui, Haru, una giovane giapponese che le ispira via via una sorta di ossessione erotica. Thriller sentimentale o forse storia di fantasmi come nella miglior tradizione orientale, Seguimi, in concorso al Festival di Taormina, è prodotto da Blue Film con Eur, Green e Gris Medio, e arriverà nelle sale il 22 novembre con Stemo Production. 

Sestieri, come possiamo definire il suo film, lo considera un thriller psicoanalitico o piuttosto una vicenda di fantasmi?

E’ una sorta di viaggio interiore attraverso il quale ho cercato di riprendere e sviluppare tre temi ricorrenti nel mio cinema: la relazione tra arte e vita, il confronto tra spazi e personaggi, il ruolo dell’assenza nella ridefinizione dei sentimenti. Questa volta però, il discorso sull’identità non è solo esistenziale ma anche culturale (si incrociano qui i destini di una donna occidentale e di una orientale) e il linguaggio non è più quello di una vicenda interpersonale, quanto piuttosto quello di un itinerario ipnotico e audace in cui il reale scivola sempre più verso l’assurdo, in bilico fino alla fine tra la soluzione fantastica e quella analitica.

Il film, pur con apprezzamenti lusinghieri come quello di Aprà, non ha trovato immediatamente la sua collocazione nel panorama dei festival. Come mai?

Direi che ha sofferto del mood dominante nel cinema italiano contemporaneo, legato a tematiche e ambientazioni periferiche, di borgata. Però ci sono state eccezioni significative, da Fuorinorma a Taormina al Festival di Cinema e Donne di Firenze, dove andrà a novembre. Le organizzatrici faranno per una volta un’eccezione mostrando un film diretto da un uomo. E’ la prima volta per loro. A Firenze, tra l’altro, vive Gianni Dorigo il pittore che ha realizzato i quadri del personaggio di Sebastian interpretato da Pier Giorgio Bellocchio nel film.

Perché, secondo lei, un cinema con un forte elemento visivo che sconfina nel fantastico come il suo ha difficoltà di cittadinanza nel nostro paese?

Probabilmente perché siamo stati sempre schiacciati dalla grandezza del nostro cinema del dopoguerra, dal realismo e dal neorealismo, e ancora lo siamo. In fondo anche la grande commedia è un’evoluzione del realismo, quella è la nostra tradizione storica. Per lo spirito italiano, così concreto e terragno fin dai tempi degli antichi romani e dell’atellana, la commedia farsesca, la commistione tra realtà e immaginazione è assai poco praticabile. A parte l’Ariosto non c’è questa tradizione. Io sono politicamente impegnato come cittadino, ma non penso che il cinema e l’arte debbano essere necessariamente legati alla realtà quotidiana, anzi opere ispirate al reale quotidiano non sempre raccontano al meglio un’epoca.

Quindi Seguimi nasce anche da uno spirito controcorrente?

Sì, dal desiderio di fare qualcosa che il cinema del Far East fa da sempre. E non solo. Penso ad autori come Assayas, Ozon, Polanski, Despelechin… che hanno cercato di contaminare realtà e fantastico, fino all’assurdo. Del resto i loro film in Italia sono stati un flop, nonostante siano autori famosi e celebrati. Io ho sempre raccontato storie che ruotano attorno a un mistero, ma questa volta volevo fare un passo ulteriore e provare a contaminare cinema d’autore e cinema di genere. In Italia di recente l’ha fatto solo Ferzan Ozpetek, su un fronte più popolare, penso a Napoli velata. Lui è l’unico che ha sentito questa esigenza di mescolare i canoni. Credo che anche in futuro continuerò a esplorare questi territori.

La scelta di una coprotagonista giapponese come Maya Murofushi rende esplicito questo omaggio all’Estremo Oriente.

Sì, è vero. Amo un cinema che cita il cinema, alla Bertolucci. Il mio riferimento è l’arte più che la vita.

Il film è molto femminile, anche nella rappresentazione dell’eros, altro aspetto quasi inedito nel cinema italiano contemporaneo. Alla sceneggiatura ha collaborato Patrizia Pistagnesi. Si deve anche a lei questo tocco particolare?

Seguimi è una storia mia che ho scritto da solo in un primo momento, solo dopo ho coinvolto Patrizia. Passo per essere un regista che racconta storie di donne, ma in questo caso ho voluto condividere con una sceneggiatrice la scrittura, lei aveva dimestichezza con la lettura analitica della vicenda, io con quella fantastica, e ci siamo tenuti in bilico tra questi due poli.

E sull’eros cosa ci dice?

L’eros è quasi completamente scomparso dal cinema italiano. Nel caso di Seguimi c’è un eros che non porta alla soddisfazione, che nasce dal dolore, dalla crisi della protagonista. La scena di sesso l’ho girata in modo non consequenziale, sono solo frammenti, non c’è un racconto lineare. Marta è una tuffatrice che ha perso la possibilità di tuffarsi, vive una serie di lutti. Parte da Barcellona per riaprire la casa-studio del padre che è morto da poco, non ha un compagno, si confronta continuamente con il senso della perdita. L’incontro con la modella di Sebastian è l’incontro tra due donne che diventano sempre più l’una l’altra faccia dell’altra. Questo incide sull’ossessione che si scatena tra loro. Il loro sesso è narcisistico. 

Come ha composto il cast che ha presenze inedite accanto ad altri volti più sperimentati come Antonia Liskova e Pier Giorgio Bellocchio?

E’ un cast molto ragionato. Mentre scrivevo avevo già in mente i volti e i corpi. Angelique Cavallari l’avevo vista in un corto di Odoardi girato in Francia e mi aveva molto colpito. Maya Murofushi è una giapponese che parla l’italiano e si era appena trasferita da Tokyo a Madrid. Antonia Liskova ha un’aria intelligente e razionale, giusta per il ruolo della sorella di Marta: introduce il principio di realtà nel film, quando lo spettatore è confuso dalle mille tracce e lei diventa il mezzo per capire qualcosa nella vicenda. Per il ruolo di Sebastian ho avuto qualche difficoltà a trovare un interprete coraggioso, che potesse calarsi in questa parte estrema. Bellocchio mi aveva colpito in Sangue del mio sangue e ha subito accettato.

Come ha scelto la location principale?

Avrei voluto inizialmente girare a Calcata, ma facendo dei sopralluoghi in Basilicata, in vista di un finanziamento della Film Commission che poi non si è concretizzato, mi sono convinto che Matera fosse il posto giusto: è una città tutta di pietra, piena di caverne e anfratti, con una forte vocazione artistica, molto coerente con la vicenda, Matera è un luogo segreto. Alla fine la città diventa un altro dei personaggi del film, in forte contrasto con la metropoli di partenza, Barcellona. 

Cristiana Paternò
19 Luglio 2018

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