Terry Gilliam: “Cinecittà è il tempio degli artigiani. Come me”

Ci ha messo 29 anni per dare vita al suo demone. Il risultato, decisamente notevole, è quel The Man Who Killed Don Quixote (in sala in autunno) presentato in anteprima italiana all'Ischia Global Fest


ISCHIA – Ci ha messo 29 anni per dare vita al suo demone. Il risultato, decisamente notevole, è quel The Man Who Killed Don Quixote (in sala in autunno con M2 Pictures) presentato prima al Festival di Cannes e oggi in anteprima italiana all’Ischia Global Film & Music Festival. Visionario, ironico, perfettamente in salute malgrado l’ictus che l’aveva colpito a maggio, in Italia il regista Terrence Vance detto Terry Gilliam si sente a casa: da anni ha una dimora in Umbria e si divide tra i festival della penisola privilegiando i meno blasonati. Con il cinema italiano ha un rapporto di profonda ammirazione e, ammette, di cleptomania artistica: “Ho rubato tutto quello che potevo da Federico Fellini, anche quando non me ne sono accorto”. Immerso com’è nel suo cinema onirico e immaginifico, si dimentica di andare in sala (“Non ci metto piede da due anni”), in compenso recupera film in giro per le kermesse a cui lo invitano. E un’opera, su tutti, lo ha ammaliato: “Dogman di Matteo Garrone. Mi ha lasciato senza parole”.

Ha citato Fellini, ha lavorato con i suoi collaboratori e anche negli studi di Cinecittà in cui lui girava i suoi film…

Come dimenticarsi quella meraviglia che è Cinecittà. Non so come sia diventata oggi, ma ricordo che nell’88, quando giravo Le avventure del barone di Munchausen, Fellini era ancora vivo, e io lavoravo lì con la sua gente, dallo scenografo Dante Ferretti alla costumista Gabriella Pescucci. Conservo dei ricordi bellissimi di quei giorni: Cinecittà è il tempio degli artigiani, ci ho trovato eccellenti artisti, pittori, maestranze. Io mi ritengo un artigiano del cinema.

Un Don Chisciotte, magari?

Don Chisciotte è più un pazzo che un sognatore. È uno che ha un’idea molto confusa di quale sia la realtà. Io ringrazio mia moglie che mi tiene con i piedi per terra. L’immaginazione è il mezzo più potente che abbiamo, io mi ci perdo dentro e a volte smarrisco completamente il senso del tempo. Riesco ad essere a un tempo visionario e realistico, sognatore e concreto – perché un regista non può permettersi di non essere concreto quando ha un set da mandare avanti. Chissà, forse sono solo schizofrenico. (Ride, ndr).

La verità: è finita per sempre con i Monty Python o prima o poi li rivedremo spuntare, magari sotto forma di omaggio, in un suo film?

Macchè, uno è morto, l’altro soffre di demenza senile… mai riprendere ciò che è vecchio, i Monty Python non torneranno mai. Io non sono un nostalgico: ho sempre cercato di guardare avanti, nella vita come al cinema.

Sta pensando, come si vocifera, a una serie tv?

Assolutamente no. Non credete a quello che scrivono di me: sono talmente esaurito con la promozione del mio Don Quixote che non sto pensando ad altro al momento.

Di sicuro non dirigerà mai un film sui supereroi…

Non amo i film della Marvel. Sono tecnicamente brillanti ma anche ripetitivi e privi di persone reali.  Freaks e supereroi non mi interessano: il mio Don Quixote è un anti-Marvel, un film d’autore che esce dalla dimensione di “due camere e cucina” e diventa spettacolare, pur con effetti speciali ridotti al minimo.

Perché persino Terry Gilliam oggi fatica a reperire fondi per un film, come se lo spiega?

Perché oggi fare film di medio budget è il problema centrale del cinema contemporaneo, che rischia di assottigliarsi tra kolossal e piccoli film indipendenti. Nel mezzo non c’è spazio per nulla, ancora ringrazio un’anziana signora per aver messo i 3 milioni e mezzo di euro che mancavano per raggiungere il budget di 16 necessari a realizzare il mio Don Quixote.

Claudia Catalli
20 Luglio 2018

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