Sigourney Weaver: volevo fare Shakespeare e lavorare con Guadagnino

L'iconica attrice di Alien e Ghostbusters protagonista di un incontro con il pubblico alla Festa del Cinema di Roma


Da Alien a Ghostbusters, Sigourney Weaver, oggi super-ospite alla Festa del Cinema, ha segnato i gusti della generazione cresciuta col cinema fantastico degli anni ’80. Modello atipico di donna forte, ha dato prova di grandi capacità recitative sia in episodi brillanti come Una donna in carriera che nell’impegnato Gorilla nella nebbia, salvo poi tornare alla fantascienza con Avatar di James Cameron. Il tempo è poco e le domande tante per la splendida 69enne, figlia di un dirigente NBC, Sylvester “Pat” Weaver, e dell’attrice britannica Elizabeth Inglis.

 Come l’ha influenzata far parte di una famiglia già orientata verso il cinema e l’audiovisivo?

Mio padre era più entusiasta, mia madre era più del tipo ‘stanne fuori finché puoi’, ma certamente deve avermi predisposta in qualche modo.

Avrebbe mai immaginato di diventare un’icona della sci-fi?

Veramente volevo fare teatro, pensavo a Shakespeare, però mi piaceva anche spaziare, quindi mi sono costruita la mia strada. Ad ogni modo, la fantascienza è un genere molto complesso e sofisticato, che ti porta anche a porti domande esistenziali. In America, ad esempio, la letteratura sci-fi è considerata molto importante.

 Di Ridley Scott che ricordo ha?

Alien era il suo secondo lavoro, prima aveva fatto solo I duellanti. Non era un tipo che amava fare molte prove, improvvisavamo parecchio e io ero spaventata proprio perché venivo dal teatro, ma funzionò assai bene perché era giusto, in quel contesto, che non sapessimo cosa sarebbe accaduto da un momento all’altro. Ma ancora mi mancava il teatro, quindi ci misi due anni per fare ancora altri film. Alien fu comunque un film rivoluzionario.

 E oggi, com’è cambiata la fantascienza?

Sono tornata al genera anni dopo, con James Cameron e Avatar. Penso che i critici dovrebbero riconsiderare il modo in cui la vedono. Non bisogna concentrarsi solo sugli effetti speciali, ma sul significato profondo che storie di questo genere possono possedere.

Grazie ad Aliens – Scontro finale, tra le altre cose, lei ebbe la sua prima nomination agli Oscar, bissata nel 1989 grazie a Gorilla nella nebbia

Gorilla fu una grandissima esperienza, lavorare in Africa con una troupe internazionale, e a stretto contatto con i gorilla. Sono animali sociali, amano le persone e sono dolcissimi.

 C’è un regista con cui ha lavorato che l’ha capita particolarmente?

Ho lavorato con autori fantastici, molto diversi tra loro e con ognuno ho avuto un rapporto diverso. Cameron ha intuito come potessi lavorare in modo molto sottile, era molto vicino al mio modo di vedere le cose, mentre Ang Lee fu sorprendente. Per Tempesta di ghiaccio ci guardavamo e ci capivamo al volo, senza parlarci neanche.

I suoi ruoli sono sempre stati personalissimi e poco stereotipati. Mai la fidanzata in pericolo, insomma…

Sono così alta che quando entro in una stanza i produttori si siedono, sono troppo imponente per poter essere l’interesse amoroso dell’eroe. Amo le love story ma non ho quel tipo di fisicità… mi volevano solo i registi più fantasiosi, magari giocando proprio sul contrasto.

Cosa ne pensa di quello che è accaduto a Hollywood con il movimento MeToo?

L’industria degli addetti ai lavori del cinema voleva che le cose cambiassero, penso che tutti abbiamo fatto un sospiro di sollievo. Ora per uomini e donne ci sono più possibilità, maggiore uguaglianza e rispetto. Negli Usa questi movimenti sono stati accolti con favore dalla maggior parte delle persone, sia maschi che femmine.

 Cosa le piace del cinema italiano?

Prima di venire qui ho riguardato più volte Roma di Fellini. Sembra proprio di essere in quel film. E poi ho parlato con Luca Guadagnino, ci siamo messi in contatto e mi piacerebbe lavorare con lui. Mi ha chiesto di essere in due suoi film. Uno non l’ha più girato e l’altro non ho potuto farlo”.

Andrea Guglielmino
24 Ottobre 2018

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