Raffaele Pisu: “De Santis? Un grande, però gli mancava il cuore”

Alla Festa di Roma per presentare la versione restaurata di Italiani brava gente, l'attore racconta l'incontro sorprendente con Giuseppe De Santis e alcun aneddoti sul film


Evento speciale alla Festa di Roma la presentazione di Italiani brava gente (1964) di Giuseppe De Santis, nella sua versione restaurata finanziata da Genoma Films di Paolo Rossi Pisu e realizzatada CSC – Cineteca Nazionale, a partire dai negativi originali in 35mm. Con le musiche di Armando Trovajoli, il film racconta l’odissea di alcuni soldati italiani durante la campagna di Russia e il loro rapporto, conflittuale ma anche a tratti solidale, con l’Armata Rossa e soprattutto con la popolazione sovietica. In occasione del restauro Raffaele Pisu, unico protagonista maschile ancora vivente, è stato ricevuto qualche giorno fa dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che ha accolto l’attore definendolo un personaggio importante perché in grado di arrivare al cuore delle persone, sottolineando, a proposito del film, l’importanza di tenere memoria di ciò che è avvenuto e il bisogno di diffondere, anche attraverso il ricordo, i valori fondanti dell’Italia alle nuove generazioni. 

Italiani brava gente, prima coproduzione italo-sovietica, fu girato nei luoghi della campagna italiana di Russia, dove gli italiani erano ricordati ancora come brave persone, generose durante il conflitto nei confronti della popolazione locale. Di quell’esperienza ne parliamo con Raffaele Pisu, alla Festa di Roma per presentare il film che sarà proiettato questa sera alla presenza della vedova del regista, Gordana Miletic De Santis. 

Come avvenne l’incontro con Giuseppe De Santis e il suo coinvolgimento in un ruolo inusuale per lei, che fino a quel momento aveva fatto principalmente l’attore comico?
Con De Santis fu un incontro molto bello, fino a quel momento stavo interpretando film comici. Lui disse d’avermi visto fare un barbone e avermi subito ritenuto perfetto per il ruolo di un soldato stracciato. Ricordo, poi, che sul set continuava a dire che ero bravo nel drammatico, “vedrai quanti ruoli drammatici ti arriveranno dopo questo”, mi diceva. Per un po’ ho spettato fiducioso, ma poi quelle proposte in realtà non arrivarono.

Ha accettato subito di fare il film?
Quando ho letto il copione ho pianto, l’ho sentito molto questo film. Ho accettato la parte per pochi soldi perché sentivo di dover dare voce a un brav’uomo travolto da una guerra assurda. 

Com’è stato il rapporto con De Santis? Ha qualche ricordo personale?
Tecnicamente era un grande, però gli mancava il cuore. È un uomo crudo nelle sue cose, ad esempio durante le battaglie, quando arrivavano le granate, voleva quasi che bestemmiassimo e non che invocassimo, magari, la mamma. Non lasciava spazio per questo tipo di cose. Il nostro è stato un rapporto di amicizia e insieme di meraviglia, mi ritrovavo a fare un film drammatico di grande importanza, e quasi non ci credevo.  

Italiani brava gente, che è anche la prima coproduzione italo sovietica, fu girato nei luoghi della campagna italiana di Russia. Ricorda il suo arrivo in Unione Sovietica? 
Arrivai il 31 dicembre, non parlavo russo e non conoscevo nessuno. Rimasi solo in una grande sala, la casa del cinema russo. A un certo punto un signore ci portò tutti in una sala cinematografica per vedere una specie di documentario, capii che erano gli auguri di Natale. Poi ci portarono a cena dove conobbi un altro italiano, Bruno Pontecorvo, il fratello di Gillo che faceva lì lo scienziato e quasi si giustificava con me per questo.

Quale fu l’accoglienza da parte della popolazione locale?
Per i russi noi siamo brave persone: durante la guerra il soldato tedesco dava un calcio al bambino che aveva fame, l’italiano spezzava in due il suo pane. Una voce che si diffuse tra la popolazione, che per questo, almeno allora, ci voleva un gran bene. 

Ricorda un episodio sul set che l’ha particolarmente colpita e a cui pensa ancora oggi?
Il secondo giorno eravamo fuori Mosca a girare le prime scene, avevamo dato ad alcuni soldati russi che dovevano fare le comparse le uniformi italiane. Si avvicinò un colonnello russo e ci disse che i suoi uomini non avrebbero girato, perché il giorno prima già alcuni di loro si erano congelati, e ci chiese, sorpreso, se davvero gli italiani durante la guerra avevano utilizzato quelle divise. I nostri soldati erano degli eroi, con scarpe di cartone a trentanove gradi sottozero. Molti morirono congelati, gli stessi motori delle auto non si potevano spegnere perché altrimenti si congelavano, una scena che si vede di sfuggita anche nel film.

Come fu accolto il film alla sua uscita in Italia?
Il film diceva delle verità e per questo non fu accettato bene. A livello distributivo uscì allora molto male, buttato sul mercato da una Warner Bros ai suoi inizi, che non aveva investito nel film e non era particolarmente interessata a promuoverlo.

Gli italiani di oggi sono ancora brava gente?
Penso di sì, ci sono molti giovani che hanno buoni sentimenti ma non gli insegniamo niente. Li riempiamo di trasmissioni televisive, come i reality, che sono vergognosi. L’ho detto anche al Presidente Mattarella che servirebbe sostenere un altro tipo di televisione che trasmetta qualcosa. Una volta le trasmissioni televisive avevano un senso, parlavano agli italiani, oggi la tv è una cosa indecente, in cui non si comunica niente. 

Che messaggio si augura lasci il film a chi lo vedrà oggi, magari anche per la prima volta?
Al di là del valore cinematografico, vorrei che si ricordassero quelle persone che con le scarpe rotte hanno fatto la Storia d’Italia.

Carmen Diotaiuti
27 Ottobre 2018

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