Luc e Jean Pierre Dardenne, la seduzione dell’Islam

In concorso Luc e Jean Pierre Dardenne hanno portato Il giovane Ahmed, un nuovo ritratto di adolescente in guerra col mondo


CANNES – Due volte Palma d’oro (con Rosetta nel 1999 e con L’Enfant nel 2005), i fratelli belgi Luc e Jean-Pierre Dardenne portano in concorso un nuovo ritratto di adolescente in guerra col mondo, che si va ad aggiungere alla loro personale galleria dipinta con tenerezza ma senza fare sconti. Le jeune Ahmed è un giovane musulmano in Belgio: cresciuto in una famiglia laica, dove le donne bevono alcolici, non portano la hijab e frequentano uomini, è un esponente del radicalismo delle seconde generazioni, quei ragazzi cresciuti in Europa ma nutriti da imam senza scrupoli o anche dal web di idee integraliste e affascinati dalla Jihad, il martirio secondo i dettami del Corano.

Il film, che in Italia uscirà con Bim, funziona nella sua durata contenuta di un’ora e 24 minuti, anche se è tutto condotto su una linea di minimalismo tipico dei due autori e con un esito via via più prevedibile. Il tredicenne Ahmed (l’esordiente Idir Ben Addi), bravo a scuola e orfano di padre, dietro gli occhiali da miope, nasconde un’adesione sempre più estrema alla religiosità fatta di rituali: la preghiera più volte al giorno e le abluzioni condotte con cura che rasenta la maniacalità, il sentimento di impurità e la convinzione che tutti coloro, specie le donne, che non vivono secondo i dettami del Corano, siano in grave peccato. Un cugino fondamentalista morto da ‘martire’ diventa il suo mito, il suo modello, mentre la professoressa di arabo che vorrebbe insegnare la lingua dei padri facendo ascoltare canzoni contemporanee, merita una punizione esemplare. L’uscita dall’infanzia è repentina e senza rete, perché Ahmed dà retta solo all’imam estremista e non accetta consigli o aiuto da una società pur benevola e disposta a spendersi per lui. Neppure il sentimento che prova per una sua coetanea non musulmana, Louise, lo ammorbidisce e trasforma un primo timido bacio sulle labbra in un peccato imperdonabile.

“Quando abbiamo iniziato a scrivere – spiegano i Dardenne – non immaginavamo che avremmo progressivamente creato un personaggio così chiuso in se stesso e imperscrutabile, capace di sfuggirci fino a tal punto, di lasciarci privi della possibilità di costruire una struttura drammatica per recuperarlo, per farlo uscire dalla sua follia omicida”, dicono i registi. “Come arrestare l’impetuosa corsa di questo giovane fanatico, impermeabile alla bontà e alla gentilezza dei suoi educatori, all’amicizia e ai giochi romantici della giovane Louise? Come riuscire a immortalarlo in un istante in cui, senza ricorrere all’angelicità e alla inverosimiglianza di un lieto fine, potrebbe aprirsi alla vita e convertirsi all’impurità fino a quel momento aborrita?”. La soluzione è più che mai drammatica, come lo è la vicenda del fondamentalismo in Europa.

Come siete arrivati a questo progetto?

Luc. Tutti gli attentati in Europa, negli Usa, in Medio Oriente, nello Sri Lanka ci hanno toccato profondamente e ci hanno spinto a fare questo film.

Il film mostra soprattutto l’impotenza di una società ben intenzionata e pronta a educare il giovane Ahmed ma incapace di fare breccia nelle sue ferree convinzioni.

Luc. È vero: la madre, gli educatori, l’insegnante, tutti provano a cambiare Ahmed ma non riescono. È impossibile uscire dalla logica del fanatismo, ed ecco perché i fondamentalisti fanno tanta paura. Solo quando Ahmed è in pericolo di vita, cambia, in quel momento non invoca l’imam o Allah, ma la mamma. Nella realtà la questione di cosa fare con i giovani, è una questione enorme e senza risposte certe. Però nel film possiamo dire che il lavoro degli educatori non è terminato, il film finisce ma il loro lavoro continua. È un lavoro possibile, specie con i più giovani. Tutti coloro che abbiamo incontrato – consiglieri spirituali, psicologi, educatori – ci hanno detto che c’è molto da fare ma non mancano le speranze.

Jean-Pierre. Un film non è un processo. Cerchiamo di vedere come si possa riportare il giovane Ahmed verso la vita. Alla fine ci sono due mani che si stringono. È un messaggio che dice che la vita è sempre più forte dei totalitarismi.

Perché avete scelto un tredicenne, un ragazzo ancora infantile e alla soglia dell’adolescenza?

Luc. Si dice che se non ami il tuo personaggio fai un brutto film, per questo abbiamo scelto un giovanissimo a cui lo spettatore si può affezionare. Un pre adolescente che fa e dice queste cose ci sembra assurdo. Ma l’indottrinamento è qualcosa di veramente profondo. I fanatici non si fermano neanche di fronte alla morte, anche per questo abbiamo scelto un giovanissimo, appena uscito dall’infanzia che di fronte al pericolo, capisce e chiede perdono. Il suo corpo è ancora acerbo – quando salta un muro, quando corre, è sempre un po’ impacciato – ma anche il suo cuore è acerbo, il suo desiderio erotico è nascente. Perciò la storia d’amore con Louise, anche se non lo cambia, risuona alla fine del film.

Jean Pierre. Un ragazzino non è ancora chiuso, ha ancora tante possibilità. In un certo senso è posseduto, non è lui che parla quando apre bocca, ma l’imam l’ha manipolato.

Il film potrebbe essere anche letto come un atto d’accusa nei confronti del fondamentalismo islamico.

Luc. Il fanatismo religioso non è proprio solo dell’Islam, ci sono fanatici anche tra gli ebrei e i cristiani. Altri film parlano di radicalizzazione e terrorismo. La religione, che per noi è un fenomeno legato alla sfera dell’immaginazione, può occupare lo spirito di qualcuno al punto da spingerlo ad uccidere. Abbiamo neutralizzato il contesto sociale, non è la famiglia o la società ad essere responsabile delle sue scelte, anzi lui vive la sua famiglia come impura: sua madre beve, non porta la hijab, sua sorella non si veste nel modo corretto. La sola purezza che trova è nell’imam. Molti giovani hanno un idolo, un morto che venerano, per lui è il cugino. Il culto dei morti è presente in tutti i movimenti fascisti e totalitari. L’imam lo alimenta dicendogli che il cugino è il puro dei puri, ne fa un modello assoluto. Non volevamo che una condizione sociale o politica spiegasse il suo fanatismo, dicendo è integralista perché è povero o escluso. No, ci interessava solo osservare le sue scelte intime. Il grande scrittore tedesco Günter Grass ha raccontato di essere stato SS alla fine della guerra, da adolescente. E ha spiegato che a sedurlo era stato l’ideale della purezza della razza. Anche il nostro personaggio è conquistato da un ideale di odio.

Jean Pierre. Non abbiamo cercato di spiegare perché il ragazzo è divenuto un fanatico. È un’età in cui ci si stacca dalla famiglia e si cerca di uscire dal controllo dei genitori, in questo caso la madre. L’Imam arriva in un momento in cui il ragazzo cerca qualcosa che non trova tra i suoi. È un terreno favorevole e un’età in cui l’ideale di purezza si sviluppa facilmente e diventa un valore assoluto.

Il tema della purezza e della contaminazione percorre tutto il film.

Jean-Pierre. C’è una scena in cui Ahmed rifiuta di abbracciare sua madre perché ha appena fatto le abluzioni e non vuole contaminarsi. L’Imam divide il mondo in puri e impuri e su questo Ahmed costruisce le sue frontiere.

Vi siete battuti – e continuate a farlo – in difesa dell’eccezione culturale e per il cinema europeo.

Jean Pierre. L’eccezione culturale permette al cinema francese ed europeo di esistere nella sua specificità. Per questo siamo convinti dell’importanza di difenderla. Il modello di produzione europeo oggi è minacciato, ma sarebbe un grave danno per tutto il cinema mondiale se perisse.

Luc. Senza lo Stato, il cinema europeo non esisterebbe neppure. Va salvaguardato ed è una cosa essenziale. Nei Paesi europei dove lo Stato non investe nella cultura, il cinema non esiste. 

Cristiana Paternò
21 Maggio 2019

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