Cremonini in carcere: “Senza pregiudizio e sconvolto dagli sguardi”

Alessio Cremonini incontra i detenuti di Trieste: Sulla mia pelle per la prima volta visto in un carcere. Il regista sta scrivendo un romanzo


TRIESTE – 12 persone, 400 ore di corso professionale, 9 anni di progetto, 1 premio cinematografico.

La casa circondariale Ernesto Mari di Trieste, dal 2011, in collaborazione con Maremetraggio, offre ai detenuti l’opportunità di un corso professionale audio/video, quest’anno con un impegno quotidiano dalla primavera all’autunno, che culmina con il conferimento, da parte dei detenuti stessi, di un premio, Oltre il Muro, al Miglior Corto Italiano in Concorso. 

In questo contesto, stamattina il carcere ha “aperto le porte” al regista Alessio Cremonini, per un incontro a quattr’occhi con gli allievi del corso: per la primissima volta in assoluto Sulla mia pelle è stato fatto guardare in un carcere e ha così dato spunto a tutte le sfaccettature della masterclass, che ha eccezionalmente accolto anche un ristrettissimo numero di giornalisti, “per raccontare fuori quello che di bello succede dentro”, ha detto Chiara Valenti Omero, co-direttrice di ShorTS, a cui ha fatto eco il direttore del carcere, dottor Casarano, parlando di “inclusione propedeutica”.

Cremonini ha parlato di Sulla mia pelle spiegando come il film sia basato su “gli atti”, quelli giudiziari, fondamenta assolute del racconto: il regista in un paio di momenti ha precisato il suo essere credente e cristiano, specifiche non solo personali ma anche direttamente connesse al film, in quanto “la storia di Cucchi era come la storia della sindone”, chiarendo che la differenza di una storia sta nel modo in cui la si racconta, portando palesi esempi cinematografici, dal Titanic riflesso di Romeo e Giulietta, a Pretty Woman, storia di Cenerentola, se interpretate nel loro assoluto narrativo. Per Sulla mia pelle, la storia era quella del dolore di un “Cristo”. Nell’aula del carcere in cui s’è svolto l’incontro, nel sottofondo prima, e ad alta voce poi, oltre alle curiosità, sono serpeggiati e si sono concatenati commenti differenti da parte dei detenuti: “crediamo nella giustizia”, “i carabinieri si sentono come Starsky & Hutch”, “c’è omertà nel sistema giudiziario, che deresponsabilizza” …

Questa masterclass ha seguito il Premio Cinema del Presente, che ShorTS ha conferito ieri sera a Cremonini, tra l’altro anche giurato qui al festival triestino.

Lo abbiamo incontrato in queste ore, dopo la mattinata trascorsa, anche da noi, all’Ernesto Mari.

Ha accompagnato Sulla mia pelle davvero dappertutto, qui a Trieste anche in un carcere: è stata la primissima occasione carceraria in cui il film è stato proiettato.

Lo stupore per questa prima volta è stato un po’ perché, forse, sembrava ‘scontato’ fosse un posto in cui farlo guardare: è stato proiettato clandestinamente in così tanti luoghi… certo, in carcere non poteva essere clandestino, è ovvio. Non era detto che avvenisse comunque, cosa che invece è stata: questo vuol dire che il direttore di questo carcere è una persona illuminata, sono certo ce ne saranno altri, non perché il mio sia l’unico film da vedere in carcere, naturalmente.

Si è predisposto/preparato per presentarlo dentro ad un’atmosfera così immediatamente attigua a quella del film?

No, non mi sono preparato, no. Sono proprio uno di quegli studenti che cinque minuti prima della campanella stava davanti all’ingresso del liceo a cercare di capire che compiti avrebbe dovuto fare e cosa copiare: credo le persone siano tutte uguali, avrei fatto un atto di grande pregiudizio differentemente, così come non mi chiedo chi sia chi mi trovo dinnanzi in un cinema. Mi sono invece detto: ‘imparerò molte cose’.

E poi, qual è stato il riscontro più forte da parte del pubblico dei detenuti? C’è stato qualcosa che s’aspettava e qualcosa che l’ha stupita o comunque fatta pensare, l’ha colpita?

La cosa che mi ha sconvolto sono stati i visi, gli occhi delle persone, non posso negarlo. Il disagio è una costante delle nostre vite quotidiane, non è improbabile notare certi occhi per le strade, ma vederli tutti insieme e parlanti, con chissà quali storie alle spalle, è stato intenso: mi hanno avvicinato per sapere dove abitassi, perché ho accennato il mio essere di periferia, erano curiosi alcuni di origine romana, volevano sapere se fosse la ‘loro’ periferia, ma di quello che si ricordano loro adesso non c’è nulla. Ogni pubblico è un po’ differente dall’altro, e per loro era molto importante ‘la questione’ trattata nel film: è differente vederla da fuori, che dal carcere, e viverne tutti gli aspetti; rispetto ad un film come Sulla mia pelle, era ovvio indicassero come assodato un sistema giudiziario marcio e schifoso, comprensibile dal punto di vista di chi ‘sta dentro’. In Educazione di una canaglia, Bunker scrive: ‘in carcere non ti chiedono mai che cosa hai fatto, ma di cosa ti accusano’.

Ha incontrato nell’arco di questi quasi dodici mesi pubblici molto trasversali: a parte quello del carcere, c’è stata un’altra platea particolare che le ha restituito qualcosa di intenso? Penso agli spettatori ‘giovani’, quelli che le hanno conferito il David di Donatello ‘Giovani’.

È sicuramente il pubblico più straordinario, a partire dal fatto che spesso i giovani hanno difficoltà ad andare al cinema a guardare film molto seri o a vederli anche su piattaforma. Ho percezione quotidiana, dal primario al signore che monta le tapparelle, che il film sia molto visto, questo anche grazie all’idea geniale di Lucky Red di mandarlo via Netflix, cosa che è costata anche delle dimissioni ad Andrea Occhipinti: rispetto agli adolescenti, inoltre, l’uso di internet ora è come per noi poteva essere la tv e metterlo lì ha reso possibile fosse molto visto, una cosa straordinaria per una storia vera, triste, angosciante; però non mi stupisce, perché loro hanno sempre una sete di giustizia spaventosa, che poi da adulti si perde, e io spero di non averla persa del tutto. Questo è un film che parla di diritti, di che diritti abbiamo anche quando sbagliamo.

Il pubblico più giovane è pubblico del presente, come il Premio Cinema del Presente, che le è stato conferito qui a Trieste da ShorTS, che ha ricevuto ieri sera: nell’accoglierlo ha citato Rossellini e De Sica, per far comprendere l’essenza dell’attualità.

Cinema e presente potrebbero essere sinonimi. Questi due geni, Rossellini e De Sica, uomini dell’altro Secolo come sono io, hanno determinato che nessun cineasta, anche se non consapevole, possa prescindere da loro: Rossellini, in particolare, ‘padre’ quanto De Sica, è stato eccezionale nella capacità di rendersi non mitico, per cui ha cercato sempre di fare un cinema ‘utile’, tanto da aver fatto anche della televisione utile. Questa cosa di essere interessato al cinema come mezzo utile credo sia un’invenzione ideologica, e a me piace molto che cose artistiche possano mettere lo zampino nella vita reale, dicendo la loro, è la cosa più intrigante per chi ha voglia di raccontare. Come fatto con Sulla mia pelle, un film realizzato in questo momento storico per influenzarlo, questo era proprio il desiderio: riuscire a mettere un grammo in mezzo al tutto, per produrre un po’ d’effetto.

Sulla mia pelle è stato il suo lungometraggio d’esordio: in questo momento sta già progettando un nuovo film per cui stare dietro la macchina da presa?

Sto lavorando a un romanzo, che ha una casa editrice: è un progetto contrattualizzato, che non ha nulla a che fare con il presente, né con il cinema. Non lo sto scrivendo pensando ad un film, perché sarebbe così complesso che forse giusto persone del calibro di Spielberg riuscirebbero a realizzarlo! Rispetto al cinema abbiamo finito, con Cinema Undici e Lucky Red, un progetto ambientato in Medio Oriente: è una storia vera, al femminile, che parla del terrorismo, tema per me non nuovo avendo scritto Private e poi il tv movie Border (2013).

Nicole Bianchi
05 Luglio 2019

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