Lancellotti & Masi: “Carlo Levi nel XXI secolo”

Lucus a lucendo è il titolo del documentario di Alessandra Lancellotti ed Enrico Masi, prodotto da Istituto Luce Cinecittà, che il Torino FF propone in concorso a Italiana.doc


TORINO Lucus a non lucendo, frase proverbiale a indicare un’etimologia per antifrasi come ci ricorda la Treccani, “bosco opaco d’ombra”… E con un ulteriore ribaltamento Lucus a lucendo nel titolo più che mai programmatico del documentario di Alessandra Lancellotti ed Enrico Masi che il Torino FF propone in concorso a Italiana.doc. Prodotto da Caucaso in associazione con Istituto Luce Cinecittà e Domus Film, il film raccoglie l’eredità di un grande intellettuale del Novecento, Carlo Levi, medico, scrittore e pittore, ebreo torinese, che nel 1935, condannato a tre anni di confino in una zona remota della Lucania, riuscì a entrare in contatto con un mondo contadino intriso di magia e sortilegi, un mondo ancestrale e così lontano dal suo, tanto da farne il cuore della sua ricerca artistica e umana. Non solo nel celebre romanzo Cristo si è fermato a Eboli, del ’45, che nel 1979 diventa un film di Francesco Rosi con Gian Maria Volonté, ma in tutta la sua arte. Alla complessità della vicenda di Carlo Levi, il film affianca un’altra figura quella del nipote Stefano Levi Della Torre, anch’egli pittore che intraprende un viaggio nei luoghi di Carlo, tra il Piemonte, Parigi, Aliano, Roma. Un viaggio contrappuntato dalla conversazione con lo storico Carlo Ginzburg, e accompagnato dalla giovane coregista Alessandra Lancellotti, di origine lucana, che diventa un personaggio in campo, un nuovo discepolo. Tutto ciò con la voce di Carlo Levi e i preziosi materiali di vari archivi visivi, dal Luce all’Aamod, all’archivio Domenico Notarangelo, alla Cineteca Lucana. Nell’anno di Matera Capitale Europea della Cultura, un film quantomai attuale anche per i suoi significati politici. Dopo Torino, sarà proprio a Matera il 27 novembre come evento di chiusura del convegno “Carlo Levi e la Crisi della Civiltà”. E il 28 novembre il Comune di Aliano, luogo dove Carlo è sepolto, ospiterà una nuova presentazione, nel giorno che precede il suo compleanno. Distribuzione in sala nella primavera del 2020.

A Torino abbiamo incontrato i due registi, Alessandra Lancellotti (1990), architetto e ricercatrice a Torino, nata in Basilicata, ed Enrico Masi (1983), autore di Shelter, apprezzato in numerosi festival europei, anch’esso nel listino Luce.

Come avete lavorato sui materiali d’archivio?

Lancellotti. Abbiamo cercato l’immaginario che ci figuravano in scrittura, una sorta di geografia. L’archivio è stato prezioso in tutte le fasi, fin dalla scrittura, anche con altri altri tipi di materiali che ci hanno permesso di studiare tutti i temi del Novecento che ci interessavano, con contributi multimediali, trovati in fondi grandi ma anche piccoli, privati come pubblici. Queste immagini si contaminano molto con l’immaginario pittorico di Carlo Levi e di Stefano Levi Della Torre. Ci sono corrispondenze fra il paesaggio dei dipinti e il paesaggio che si trova in immagini degli anni ’50 e ’60.

Masi. Tra le cose più rare e interessanti, un fondo Luce sugli alleati che nel ’45 che sorvolano Montecassino, uno dei primi fondi a colori; un altro mostra l’avanzata dell’esercito sovietico dopo la disfatta dei nazisti. Gli archivi hanno aggiunto valore evocativo e simbolico al film.

Il film è molto stratificato, parte da queste due personalità artistiche, Carlo Levi e Stefano Levi Della Torre, per aprire il discorso all’incontro tra due Italie, il Nord e il Sud, dal punto di vista geografico, culturale, sociale, oserei dire antropologico.

Masi. Era difficile tenere insieme le varie anime del film. Stefano Levi Della Torre all’inizio non era pienamente d’accordo a fare un film in cui lui fosse protagonista. Però si è rivelato un corpo narrante perfetto. Ma non potevamo fare un film soltanto su Stefano, benché sia stata per noi la grande scoperta di un artista italiano che merita maggiore attenzione. Così, dopo averlo seguito molto in fase di ripresa, abbiamo dovuto ricalibrare al montaggio, spostando l’attenzione nuovamente su Carlo Levi.

Un film senza protagonista, in realtà.

Lancellotti. Il protagonista è invisibile e passa attraverso diversi elementi: Carlo Levi, Stefano Levi, il rapporto tra me e Stefano, che riprende il rapporto di discepolato tra Stefano e Carlo. C’è un passaggio di testimone continuo.

Tra qualche giorno sarete a Matera per il convegno su Carlo Levi.

Masi. Sì, è il convegno organizzato da Matera Capitale della Cultura, con due giornate di studio dedicate a Carlo Levi e in particolare a Paura della libertà, un testo politico scritto prima di Cristo si è fermato a Eboli ma pubblicato dopo. E’ simbolico che il film debutti a Torino sotto la Mole e a Matera a Palazzo Lanfranchi. Nel film si parla anche di annessione del Sud, del ruolo piemontese e sabaudo nella questione meridionale, di assistenzialismo.

Affrontate la questione meridionale in termini mai didattici ma ponendo delle questioni allo spettatore.

Masi. Lo sforzo intellettuale è quello di portare il pubblico verso un lavoro di comprensione. È un film dialettico e molto verbale. Il punto di vista è quello della generazione del XXI secolo che parla di Novecento al presente, non per ripescarlo o revisionarlo. Fare oggi questo sforzo è quasi obbligatorio, per quanto difficile.

Come nasce il coinvolgimento di Carlo Ginzburg?

Lancellotti. Carlo Ginzburg e Stefano Levi si incontrano periodicamente per disquisire di storia e di filosofia, come facevano i loro antenati. Questo dialogo avviene nello studio di Stefano a Milano e noi abbiamo filmato una sola giornata ma la conversazione è divenuta il filo rosso che lega tutto il film, una voce fuori campo.

Masi. Quell’atelier, che abbiamo frequentato per due anni, diventa un ventre del pensiero, lo scontro tra Stefano e Carlo è uno scontro tra titani. Ginzburg vede l’antropologia come filologia e distanza, mentre per Stefano, come per Carlo, è empatia, così come il ritratto è colloquio e relazione.

Come siete arrivati alla scelta del titolo, Lucus a lucendo?

Lancellotti. Il titolo è venuto alla fine, per restituire la verità del film attraverso un’espressione che Carlo usa parlando di un bosco che attraversa, così fitto da non far filtrare la luce, in una pagina di Cristo si è fermato a Eboli. Stefano ci teneva a convertire questa oscurità in luce. Il titolo ha a che fare col rapporto tra verità e luce che viene fuori nel film, nella conoscenza dell’altro e nella conoscenza di se stessi attraverso l’altro. 

Masi. Ci siamo allontanati dalla lettura illuministica, riappropriandoci di una lettura varroniana di “lucus a non lucendo”, però mettiamo questa formula in positivo in un’epoca di oscurità come la nostra. Oggi è un raggio di luce sulla conoscenza, sulla cultura.

È anche una presa di posizione politica, un antidoto al populismo, all’antisemitismo. Un esempio perfetto di dialogo tra classi sociali, senza paternalismo, ma con la consapevolezza delle differenze che non vanno azzerate.

Masi. Il film è anche una strana simbiosi, speriamo riuscita, tra due Italie a due velocità.

Lancellotti. Abbiamo cercato un ridefinizione dell’identità culturale dei lucani. Io sono lucana ma ho studiato a Torino e sento molto questa riflessione. La scoperta antropologica che ha fatto Levi l’ho vissuta io stessa tornando in Basilicata in un entroterra molto particolare, dove abbiamo scoperto contraddizioni enormi.

Cristiana Paternò
24 Novembre 2019

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