Barbara Steele: “Da regista avrei fatto Medea”

L'ospite d'onore del 37° Torino FF, regina della retrospettiva sull'horror, rievoca i momenti più belli della sua carriera, con Bava, Fellini e Roger Corman


TORINO – Alternando con disinvoltura italiano e inglese, Barbara Steele parla volentieri della sua carriera, horror e non solo. Gli occhi sono quelli di sempre, bellissimi e inquietanti, scuri, l’eleganza di una sciarpa bianca a contrasto li esalta. L’ultrasettantenne attrice inglese, tanto amata dal cinema italiano – amore ricambiato – è l’ospite d’onore del 37° Torino FF, regina della retrospettiva sull’horror. Studi di pittura e qualche esperienza teatrale e cinematografica minore, ma fu l’italiano Mario Bava a intuirne il potenziale scegliendola per un doppio ruolo nel suo film La maschera del demonio (1960). Una performance notata da Roger Corman che la volle per Il pozzo e il pendolo accanto a Vincent Price. Più tardi sposerà uno sceneggiatore di nome Poe quasi a coronare il tutto con una bizzarra coincidenza. Federico Fellini la chiamò in e l’avrebbe voluta anche nel Casanova. Tra i suoi registi ci sono Riccardo Freda, Antonio Margheriti, Mario Monicelli (L’armata Brancaleone). Quindi, in una seconda parte della carriera, dopo il matrimonio, Jonathan Demme, David Cronenberg e Joe Dante.

Quali sono i cineasti a cui è più legata?

Ho sempre adorato lavorare con Riccardo Freda, era pieno di emozioni, di rabbia, passione, energia, mi sentivo molto in sintonia con lui, era veramente italiano. Fare un film con lui era come cantare in un’opera. Poi ho amato lavorare con Fellini, un grande mago, con il cilindro e la frusta dorata. Creava un incantesimo con le sue intuizioni, la sua immaginazione, la sua generosità. Quel periodo in Italia fu bellissimo, c’erano tanti creativi, scrittori, registi. Pensavo che la vita sarebbe stata sempre così, invece non era vero.

Come avvenne l’incontro con Fellini?

Avevo visto a Londra La strada e mi aveva incantato per la sua malinconia, trovavo Giulietta Masina sublime e Anthony Quinn aveva una forza fantastica. Era un film pieno di anima. Quando Federico mi chiamò per un provino, andai subito. Sono stata su una sedia per ore ad aspettarlo. Mi ha fatto molte domande, cosa avevo mangiato la sera prima, se ero innamorata e di chi. Poi mi ha mandato direttamente alla prova costumi.

Come è arrivata in Italia?

Frequentavo l’università e avevo un piccolo banco al mercato delle pulci a Portobello Road, un tizio mi ha notato e mi ha fatto quattro o cinque foto che ha pubblicato su Life, Bava le ha viste e mi ha chiamato, mi ha dato il film senza  nemmeno incontrarmi. Non sapevo che sarebbe stato un horror. Siamo cresciuti con la seconda guerra mondiale, quello era il vero orrore per noi.

Accettò senza farsi troppe domande.

Roma per me era legata al latino, che avevo studiato a scuola, anche se mi avessero chiamata a cucinare sarei andata. Ma Roma è stata una rivelazione, al di là delle aspettative, eravamo in pieno boom, la gente era ricca, ottimista, aperta, generosa, creativa. Sembrava di essere nell’ombelico del mondo.

Ricorda quando fu scattata la foto della locandina di Torino?

Non ricordo il momento preciso. E’ una foto strana, metà del mio viso è coperta dai capelli, era la metà distrutta nel film. Una specie di metafora. Ho fatto un personaggio doppio, metà dark, metà virginale. Mi piacevano le parti oscure, il dramma, l’agonia. Del resto ho sposato un uomo che si chiama Poe, come lo scrittore.

C’è qualche rimpianto, qualche film che non avrebbe voluto fare, qualche brutta esperienza?

In America ho fatto una serie tv con un regista a cui interessava solo l’inquadratura, era duro, ci trattava malissimo e metà del cast piangeva, compresi gli uomini. Dopo tre settimane, decisi di andarmene, mollai la Paramount. Fu il momento più bello della mia carriera, e loro stavano impazzendo.

Come andò l’incontro con Demme nel ’74? E come ricorda Cronenberg?

In quel periodo facevo la produttrice per mantenermi. Stavo camminando per strada quando si è accostata una bellissima macchina anni ’50. Era Jonathan Demme, mi disse che tra due giorni avrebbe cominciato le riprese. David Cronenberg era molto timido e gentile, non era ancora famoso, venne a trovarmi nella mia piccola casa sul mare durante un temporale e arrivò con un enorme mazzo di fiori, più grande di lui.

Perché andò in America?

Perché avevo sposato Mr. Poe, ma è stato un errore spaventoso. Ero un’emigrante in un paese che non mi affascinava, non ero bionda, non ero giovane e compresi che non sarei mai stata una diva, così per un po’ ho fatto la produttrice.

Com’era Joe Dante? E Roger Corman?

Joe Dante era delizioso. Abbiamo lavorato a basso budget, in Piranha, tanto che a fine riprese abbiamo fatto un’asta vendendo gli oggetti e i costumi per pagare le comparse. Corman era fantastico, ho sbagliato a non chiedergli di farmi dirigere un film, sono stata stupida. Girammo Il pozzo e il pendolo in una settimana. Era un uomo frugale, ci lavavamo con l’acqua presa dai bicchierini di carta. Un uomo dell’Ottocento, molto civile, tranquillo, corretto, onesto. Come Bava. Erano tutti e due educati e gentili. Diversamente da Margheriti o Freda o anche Fellini. Ma guardate i serial killer, mica hanno la faccia di Rasputin, sono sempre perfetti, perbene e di bell’aspetto. Un famoso serial killer mi ha chiesto dal carcere una foto autografata de La maschera del demonio. Non gliel’ho mandata e mi sento un po’ in colpa.

Come regista cosa avrebbe voluto dirigere?

Avrei voluto fare Medea, una donna consumata dall’ossessione, dall’amore, tanto da ammazzare i suoi figli. Ho visto Medea di Pasolini, bellissimo film, devo dire che adoravo Pasolini.

Cristiana Paternò
29 Novembre 2019

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