Gianni Amelio: “Così racconto l’agonia del leader”

A vent'anni dalla morte del leader socialista, il regista scava nel "passato scottante" della prima Repubblica. Ma lancia l'affondo: "Non è vero che è un film contro Mani pulite"


E’ quasi un Re Lear in versione contemporanea, Hammamet, il nuovo film di Gianni Amelio prodotto da Pepito e Rai Cinema in associazione con Minerva Pictures e Evolution People che arriva in sala con 01 dal 9 gennaio. A vent’anni dalla morte del leader socialista, il regista di Lamerica e Il ladro di bambini, scava nel “passato scottante” della prima Repubblica con una sceneggiatura, scritta insieme ad Alberto Taraglio, che si dichiara non politica, interessata al versante umano del crollo di un capo animato da una superbia all’apparenza inattaccabile che vive gli ultimi mesi fuori dall’Italia, in Tunisia, accudito dalla figlia Anita. Mescola elementi storici e di finzione – specialmente il personaggio del giovane Fausto, figlio del tesoriere del partito morto suicida (Giuseppe Cederna), ragazzo disturbato mentalmente che giunge ad Hammamet con l’intento di uccidere Craxi ma poi ne subisce in qualche modo la fascinazione e viene risucchiato da quest’uomo diabetico eppure avido di dolci, autodistruttivo e rabbioso. “Il nome di Craxi – riflette Amelio – è chiuso oggi in un silenzio assordante, fa paura, scava dentro memorie oscure, viene rimosso senza appello”.

Hammamet si sviluppa, come spiega il regista, attorno a tre caratteri: il re caduto, la figlia che lotta per lui (Livia Rossi) e un terzo personaggio misterioso (Luca Filippi). In realtà sono molti gli incontri catalizzatori di ambigue verità: c’è il democristiano navigato in visita (Renato Carpentieri), l’amante ancora affezionata (Claudia Gerini), e nella fantasia o nei sogni anche l’anziano padre (Omero Antonutti nella sua ultima apparizione). Del resto il film, girato in parte nella vera villa di Craxi a Hammamet, si apre proprio sul piccolo Bettino che rompe un vetro con un colpo di fionda, particolare rivelatore che torna nel finale. Il tutto si coagula in un canto funebre – anche di certa Italia anni ’80 e ’90 – che a qualcuno ha evocato, prima ancora di vedere l’opera finita, una sottintesa delegittimazione di Mani pulite. Ma qui Amelio si infuria e rimbrotta l’inviato de ‘Il Fatto quotidiano’ che pone la questione. “Spero che il suo giornale faccia marcia indietro su quanto ha scritto mesi fa, ha fatto cattiva informazione, prendendo brandelli di qua e di là. Il film è concentrato sulla figura del presidente, racconta l’agonia di Craxi con tutte le sue contraddizioni. E io non sono il personaggio”.

Cuore del film, naturalmente, l’impressionante performance di Pierfrancesco Favino che si è sottoposto ogni giorno a cinque ore di trucco per diventare la “maschera” Craxi come Servillo fece con Andreotti. “Spesso è il trucco – dice l’attore – che ti dà la chiave, era un rituale quotidiano e quando mettevo le sopracciglia e gli occhiali superavo il ponte dell’oblio di sé come nel teatro giapponese. La maschera ti consente un contatto molto più intimo con qualcosa che hai paura di toccare”. Ed è ancora l’attore a lanciare una riflessione sulla politica di oggi: “Ricordo bene che i miei genitori avevano stima per i governanti. A quell’epoca i discorsi dei politici avevano una ricchezza di linguaggio e una consapevolezza che hanno perduto. Quella generazione ha usato la parola ‘noi’, dopo sostituita da ‘io’ come se l’io fosse salvifico. A 18 anni volevamo dire la nostra, far parte di una cosa identitaria, pensando di poter cambiare il mondo. Adesso c’è disinteresse”.

Amelio, come è arrivata l’idea di un film su Bettino Craxi?

Il produttore Agostino Saccà voleva fare un film su Cavour, che ha avuto un rapporto molto intenso con la figlia. Io mi sono detto. perché scomodare Cavour quando potremmo parlare di Craxi e di sua figlia Stefania. E loro mi hanno hanno preso sul serio.

Nel dialogo tra Craxi e il politico impersonato da Carpentieri vi è un riferimento alla morte e al non sapere cosa ci sarà dall’altra parte. E’ anche una critica all’ipocrisia democristiana?

Anche molte persone che vanno in chiesa tutte le domeniche, si chiedono se davvero San Pietro aprirà loro le porte del paradiso… così il democristiano navigato pensa che possa esserci un dubbio sull’esistenza di Dio. E dice: se Dio esiste sarò l’ultimo a saperlo. Lo dice nonostante sia il rappresentante del partito cattolico.

Perché ha scelto di raccontare l’agonia di Craxi, salvo una scena del congresso quando il suo potere è ancora all’apice anche se già si intravede la futura caduta?

Non considero Craxi una star, ma un politico sul quale è calato da decenni un silenzio assordante, probabilmente ingiusto. Si può criticare in modo corretto, non fazioso. Ho voluto fare un film non sul Craxi degli anni ’80 ma sulla lunga agonia di un uomo di potere che va verso la morte. Il passato ritorna, come in quel brano del film Le catene della colpa che si vede in tv. Il passato del presidente ritorna anche in un eremo tra gli ulivi delle colline di Hammamet, dove lui coltiva i suoi rancori, le sue rabbie, i rimpianti, i desideri, è un uomo macerato fino all’autodistruzione. Morirà il 19 gennaio del 2000 in Tunisia. Forse se gli avessero dato la possibilità di essere operato da qualche altra parte, sarebbe vissuto ancora. I chirurghi del San Raffaele vista la sala operatoria di Tunisi, inorridirono.

Si sarebbe potuto fare questo film senza Favino?

Non sarebbe mai nato senza di lui, sfido chiunque a trovare un altro attore, non solo in Italia, che potesse fare il presidente come l’ha fatto lui. Il trucco è una trappola se non è alimentato da qualcosa che nasce dall’interno. Orson Welles si trasformava sempre il naso per mascherare la sua faccia vera, per essere il personaggio e non se stesso.

Come nasce il personaggio di Fausto, che richiama direttamente Colpire al cuore?

Ci sono dei personaggi che mettono in moto una storia. Avevo bisogno di un antagonista. Chi poteva essere se non il figlio di qualcuno che in vita aveva messo sul chi vive l’uomo che stiamo raccontando? C’è un forte legame con il figlio di Colpire al cuore. Lì si parlava del terrorismo, qui di sentenze passate in giudicato, ma sono sempre nodi da sciogliere, c’è la ricerca di un colpevole. Fausto vuole chiarezza su certe cose, questa chiarezza non l’ha avuta interrogando suo padre, forse spera di averla parlando con l’uomo da cui tutto è nato. L’irruzione di Fausto dentro la vita del presidente descrive un rapporto inquieto e inquietante con un giovane che sostituisce il figlio naturale e che lui lo vuole vicino.

Craxi nel film è un latitante o un esule?

Nessuno dei due. Un latitante è qualcuno che è ricercato dalla legge e non si sa dove si trovi, mentre di Craxi si conosceva l’indirizzo, il numero di telefono, c’erano giornalisti che lo intervistavano, politici che andavano a trovarlo. Non è neppure un esilio visto che su di lui pesano le due condanne passate in giudicato. È contumace. Ma c’è una ragione per cui i giudici non sono andati da lui, la Tunisia non ammettendo l’estradizione avrebbe reso il processo inutile se non dannoso. Si aspettava piuttosto che lui andasse a presentarsi davanti ai giudici spontaneamente. Come gli dice Carpentieri: a volte è giusto chinare la testa per poterla rialzare meglio. Craxi si è perduto per orgoglio e convinzione di essere nel giusto. Voleva essere giudicato in Parlamento e non in tribunale.

Perché nel film non si fanno mai i nomi: il protagonista è il presidente, la figlia Anita?

Perché quei nomi si conoscono troppo. In nessuno dei miei film amo sentire i nomi. Mi piace il dialogo netto, che vada al sodo. Non ho voluto fare una cronaca, ho cercato di sollevare lo sguardo più in alto. Invece che Anita potrebbe essere Cordelia. Ma l’ho chiamata Anita per fare riferimento a una figura storica che Craxi venerava, Giuseppe Garibaldi. 

Ha incontrato i familiari di Craxi, vi siete confrontati?

Ho voluto conoscere la vedova del presidente, Anna Craxi è una cinefila, un’appassionata dei western di Anthony Mann, abbiamo avuto un dialogo sereno, aperto. Stefania Craxi è una donna molto impegnata in rapporto a suo padre, vuole che il suo nome non sia dimenticato. Bobo lo conosco meno, ma scrive molto e si fa intervistare molto e quindi so tanto di lui. Ha visto il film e ne ha parlato con il quotidiano ‘La Repubblica’.  

Cristiana Paternò
08 Gennaio 2020

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