Roberto Andò: “Il bambino nascosto e la malinconia di Silvio Orlando”

Ciak ad aprile per Il bambino nascosto che il regista ha tratto dal suo omonimo romanzo ambientato a Napoli. Protagonista un solitario insegnante di piano che scopre un ospite imprevisto in casa.


“Questo malinconico insegnante di pianoforte, un uomo di ombre, è un personaggio congeniale a Silvio Orlando. L’ho immaginato nella sua casa insieme all’altro protagonista, il bambino: un uomo prima un po’ chiuso quasi scostante, che poi si apre al gioco”. Così il regista Roberto Andò racconta la scelta di Orlando – “in questo momento della sua carriera vive un particolare stato di grazia”- per Il bambino nascosto, dal suo omonimo romanzo da poco uscito nelle librerie per La nave di Teseo. Le riprese del film inizieranno a metà aprile.

L’attore, che Andò ha già diretto a teatro in “Il Dio della carneficina” di Yasmina Reza, è Gabriele, ‘il maestro’, come lo chiamano nel quartiere napoletano, che scopre un ospite imprevisto nel suo appartamento: Ciro, età 10 anni, in fuga dal padre camorrista. Nonostante i silenzi iniziali del ragazzino, l’uomo sceglie di nasconderlo e di proteggerlo mettendo in pericolo la propria vita, mentre cominciano a conoscersi e capirsi. Andò girerà Il bambino nascosto quattro settimane a Roma in uno studio dove verrà ricostruito l’appartamento del protagonista, per poi spostarsi a Napoli per gli esterni, altre quattro settimane, con l’obiettivo di avere il film pronto per la Mostra di Venezia. Ciak dunque il 14 aprile, dopo che il regista palermitano porterà in scena al Teatro alla Scala, la prima è il 22 febbraio, l’opera buffa rossiniana “Il turco in Italia”.

Come è nata questa storia innanzitutto di paternità, ma anche di rapporto tra due fratelli e di disubbidienza alle regole non scritte della camorra?

Tra le immagini vi era quella di un bambino che si nasconde nella casa di un uomo solo. Perché nelle nostre città arcipelago si trovano le persone più disparate ed eterogenee, persone che fanno vite normali e parallele e che a volte si incontrano come avviene nel mio libro. Il bambino intuisce che quell’uomo solitario, che abita nello stesso palazzo, e che ha forse incrociato per le scale, è l’unico, estraneo a un certo ambiente, che lo può aiutare. E in effetti coglie nel giusto perché Gabriele si rivela un uomo che alla fine, anche in modo arrischiato, decide di proteggerlo, nascondendosi lui stesso. Ho voluto esplorare anche il tema della camorra di sbieco in rapporto a una vicenda esistenziale e psicologica che riguarda chi, come un bambino, non si può proteggere, e inoltre un uomo che ha in qualche modo staccato i contatti, non ha più rapporti con il mondo.

All’inizio il loro è un rapporto quasi di sospetto, di diffidenza reciproca.

Il bambino non spiega la sua presenza nella casa, lui d’istinto lo protegge, poi, quando capisce tutti i retroscena, via via le difese di entrambi s’abbassano, ma soprattutto si apre uno spazio in cui l’uno si rivela all’altro. Si crea una zona franca dove Gabriele e Ciro imparano ad esprimere i sentimenti. Il bambino viene da un’educazione sentimentale profondamente diversa rispetto a quella di un intellettuale raffinato e solitario mentre lui, che, avendo chiuso con il mondo, è piuttosto arido. Alla fine entrambi si riconosceranno, è come se creassero una famiglia. Fino al punto di spingere il professore a disubbidire alla legge, che in certi casi non ha risposte. Emblematica è la figura del fratello magistrato, con il quale c’è un rapporto di incomprensioni  e che non vuole aiutarlo.

Lei, siciliano, ha scelto Napoli come luogo della vicenda. Come mai?

La mafia ha una metafisica diversa, ci sono una verticalità del potere con le regole precise di Cosa Nostra e una ferocia che non lascia spazi. Mi serviva invece un certo tipo di anarchia che è presente nella camorra. Il bambino è braccato e segnato, però la camorra non ha un’organizzazione così piramidale e quindi è possibile che Ciro sfugga a quell’ordine. Inoltre mi piaceva che fosse protagonista una città a me estranea, cioè una città che conosco abbastanza da poter creare un’immaginazione su di lei. Come è accaduto alla scrittrice Anna Maria Ortese, più volte citata nel libro, ho avuto bisogno di una città dove era facile reinventare una geografia.

Dal romanzo al cinema, sarà una trasposizione fedele del testo?

No, pur mantenendo il cuore del film, ci sarà un cambiamento importante. Nell’intraprendere il film decisiva è stata la possibilità di una soluzione narrativa diversa in un momento rilevante come il finale. Abbiamo scritto la sceneggiatura io e Franco Marcoaldi, che ho voluto che portasse nel film un altro sguardo, essendo scrittore e poeta.

Ha già trovato chi interpreterà il bambino?

Sì, dopo un lungo casting nelle scuole di Napoli, ho scoperto un volto nuovo del cinema, che ha fatto solo una piccola parte di recente.

Il resto del cast sarà napoletano?

Quasi tutto, un’eccezione è Roberto Herlitzka nel ruolo del padre di Silvio Orlando.

Ha già deciso dove girerà gli esterni a Napoli?

Al quartiere Mater Dei dove ho trovato la geografia che cercavo: la palazzina in cui vive il protagonista, il cortile, il rapporto con le strade intorno, la dimensione popolare.

Ogni capitolo del libro si apre con i versi di Konstantinos Kavafis, andranno persi nel film?

Mi piaceva che nel romanzo ci fosse questo riferimento al poeta greco egiziano le cui atmosfere sono vicine alla vita del protagonista. Nel film i versi non avranno la stessa rilevanza, forse si accennerà solo all’inizio. Il libro ti consente cose che il film non ti permette: come se Gabriele si fosse creato un suo poeta prediletto, quasi un nume tutelare.

Dopo Viva la libertà, dal suo romanzo “Il trono vuoto”, è il suo secondo film tratto da un suo libro, è forse questa una condizione più garantita, più confortevole?

Certamente c’è un vantaggio. Quando scrivi un romanzo ci impieghi due, tre anni, come è stato nel mio caso facendo nel frattempo altro, perciò stai in compagnia di questi personaggi  molto a lungo, avendo tutto il tempo per renderli concreti. Inoltre io comincio a scrivere pensando al romanzo, poi ad un certo punto si stabilisce se si può trarre una storia per il cinema e quasi sempre la possibilità nasce dal fatto di poter cambiare qualcosa, il cinema può aggiungere qualcosa che nel romanzo non c’è.

Si tratta del quarto film prodotto da Angelo Barbagallo.

E’ un amico caro, un sodalizio che rappresenta una condizione di privilegio, mi fa piacere condividere con lui le prime idee, e poi trovare un compagno di viaggio limpido, quasi un complice.

Stefano Stefanutto Rosa
11 Febbraio 2020

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