Francesco Patierno: “Nella Napoli del coronavirus guidato da Camus”

Nei giorni più cupi del lockdown, un drone sorvolava Napoli. Era lo sguardo di Francesco Patierno, regista partenopeo. Al lavoro su una versione inquietante e contemporanea de La peste di Camus


Nei giorni più cupi del lockdown, con le nostre città deserte, un drone sorvolava Napoli. Era lo sguardo di Francesco Patierno, raffinato regista partenopeo (Pater familias, Naples ’44, Diva!, Camorra) che insieme al dop Paolo Pisacane e al fonico, sorvolava la grande città congelata dalla paura del virus. “Una metropoli rumorosa e popolosa, sempre affollata, che faceva davvero impressione in questa dimensione desolata e spettrale”. Quelle immagini, che abbiamo visto in anteprima, sono il nucleo di un nuovo progetto: la versione cinematografica del celebre romanzo di Albert Camus La peste (1947).

Prodotto dalla Run Film di Andrea e Alessandro Cannavale (figli di Enzo), il film tornerà sul set probabilmente a fine giugno per una seconda parte di narrazione, quella che coinvolge i vari personaggi: il protagonista Bernard Rieux (Francesco Di Leva, protagonista de Il sindaco del Rione Sanità di Martone), un medico che lotta contro il morbo, Peppe Lanzetta in quelli di Padre Paneloux, il gesuita che considera la peste un flagello inviato da Dio, Cristina Donadio nel ruolo di Cottard, che si arricchisce con la borsa nera dei generi di prima necessità.

Scritto con Francesco Di Leva e Andrej Longo, il film sceglie una strada del tutto alternativa rispetto al documentario e trasforma l’emergenza sanitaria in materia creativa.

Patierno, in quale momento del lockdown è scaturita l’idea del film?

Pur con tutta l’angoscia per lo scenario economico che si è aperto e di cui penso che ancora non abbiamo visto nulla, questi mesi sono stati per me molto creativi e produttivi. Quando Andrea e Alessandro Cannavale, con cui avevo già lavorato, mi hanno chiamato, a metà marzo, per propormi un film che raccontasse il periodo, la mia prima reazione è stata di rifiuto. Non volevo fare un instant movie, amo il cinema del reale ma sempre come racconto personale.

Cosa l’ha indotta a cambiare idea?

Mesi prima avevo iniziato a leggere La peste di Camus, che avevo lasciato dopo 100 pagine. Riprendendolo in mano ora si è trasformato in un thriller. Mi sono reso conto che era una fotografia della realtà, nonostante i tanti anni passati dalla pubblicazione. Ci sono tanti elementi che rimandano al presente, per esempio la commissione prefettizia. Insomma, era un modo per parlare dell’oggi con una voce autorevole, quella di un Nobel della letteratura.

Cosa ha trovato nelle pagine di Camus, scrittore e filosofo esistenzialista?

Mentre noi non sappiamo come andrà a finire, lui ha il senso del tutto. Nel libro emergono temi forti, come la separazione, l’amore, la giustizia, il virus è un pretesto perché fa riflettere su altre cose. Così ho coinvolto Andrej Longo e Francesco Di Leva, un attore che per me è anche autore, nella scrittura. In due settimane abbiamo buttato giù una prima stesura lavorando giorno e notte e individuando le linee principali, sintetizzando.

Avete fatto molti cambiamenti?

Abbiamo lavorato sui personaggi, per esempio il prefetto e il giudice diventano un’unica figura. Con una scelta di montaggio elaborata abbiamo scritto una vicenda che ha le meccaniche di un film avvincente con molti colpi di scena.

Le restrizioni vi hanno condizionato?

La mia cifra è quella di Pater familias: sono capace di lavorare con poco, con troupe ridotte e attori che accettano questa metodologia, che mi dà libertà.

Come avete usato il drone?

Il drone permette di fare cose impensabili fino a tre anni fa, ma è diventato un po’ come la steadycam, rischia di banalizzare. Noi lo abbiamo usato al posto del carrello, ad altezza uomo per entrare in strade e gallerie, e mostrare questa desolazione assoluta. Nei tre giorni del lockdown più tosto ci siamo allontanati dalle immagini dei TG.

Protagonista è Napoli.

Abbiamo ambientato La peste ai giorni nostri, a Napoli. Una metropoli rumorosa, popolosa e affollata, che vista vuota fa impressione. Ma la messa in scena è fondamentale come per i film di montaggio e come per qualsiasi manipolazione delle immagini. Siamo stati abituati dai TG a vedere le città vuote per il lockdown, ma il rumore del silenzio arriva solo se usi l’immagine in un certo modo, se le dai spazio e tempo. Abbiamo cercato anche un’atmosfera senza tempo. Fare un film di questo materiale è diverso dal fare un documentario.

Vi siete spinti in tutte le zone, dal centro alla periferia ai quartieri?

Sì, abbiamo girato ovunque. Questa tremenda epidemia dilaga ovunque, in zone borghesi o popolari. Così nel romanzo ci sono personaggi di ogni ceto, il prefetto, i personaggi umili, il medico che è l’eroe dei nostri tempi.

Come mai ha trasformato il personaggio del profittatore Cottard in una donna?

L’unico difetto del romanzo è che non ci sono donne, i personaggi femminili sono tutti lontani, altrove. Tra i personaggi convertibili in una donna c’era Cottard, quello che lucra, che rinasce durante l’epidemia perché può dare il meglio e il peggio di sé. Fa pensare al traffico di medicinali e mascherine, ed ecco di nuovo l’universalità e la contemporaneità del romanzo.

Ha rivisto La peste di Luis Puenzo del 1992?

Sì, ma è agli antipodi, un film hollywoodiano con William Hurt. Puenzo ha scelto la strada della fantascienza con una trasposizione fedele, ci sono persino i topi. Il mio film non parla della peste ma del nostro virus, anche se non viene mai nominato.

Tra le Immagini che sono diventate simbolo del coronavirus, come i reparti di terapia intensiva o i cortei di camion militari con le bare, ce n’è qualcuna che ha fatto sua?

No, perché altrimenti avrei fatto un film di montaggio. Invece questa è una rilettura del contemporaneo attraverso un grande classico. Ho voluto renderlo autonomo rispetto alle immagini della realtà. A parte la città di Napoli che si fa palcoscenico. Questa è la cosa più incredibile, nemmeno Tom Cruise e una grande major avrebbe potuto ottenere questo risultato, noi abbiamo filmato una cosa totalmente inedita. Sono immagini di puro cinema.

Ci sarà mai un ritorno alla normalità, dopo questa emergenza?

Non potremo pensare di fare film come un tempo, anche a livello di contenuto. In futuro ne dovremo sempre tenere conto. Sarà come fare un film a New York ma con le Torri Gemelle ancora in piedi. Si potrà fare solo con il cinema in costume, ma anche andando indietro nel passato un legame con quello che abbiamo vissuto ci sarà sempre.

Cristiana Paternò
07 Maggio 2020

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