Felice Pesoli: “I vagabondaggi di Goffredo”

Ritratto di Goffredo Fofi, un intellettuale impegnato a cambiare la realtà, il film di Felice Pesoli, al TFF, è prodotto da Gianfilippo Pedote per Avventurosa ​Film con Istituto Luce Cinecittà


Suole di vento era il modo in cui Verlaine chiamava Rimbaud, per indicare un continuo movimento, fisico e mentale, un vagabondaggio. Mi è sembrato molto appropriato per descrivere Goffredo Fofi, che tra l’altro tempo fa fece una rivistina per giovani che si chiamava proprio così, Suole di vento“.

Ritratto di un intellettuale non omologato e impegnato a cambiare la realtà, il film di Felice Pesoli, al TFF in selezione ufficiale, è prodotto da Gianfilippo Pedote per Avventurosa Film con Rai Cinema in associazione con Istituto Luce-Cinecittà, che distribuisce, in collaborazione con Archivio Audiovisivo Del Movimento Operaio e Democratico, Cineteca Di Bologna, Casa delle Visioni. È un road movie delle idee che parte da Gubbio, città natale di Fofi, per accompagnarlo nei suoi spostamenti, da Palermo a Torino, da Parigi a Napoli e Roma.  “Questo salire e scendere dai treni su e giù per l’Italia – spiega il regista – la scelta di cambiare spesso città per andare a toccare con mano nuove realtà, ci raccontano una vita in cui l’avventura intellettuale e quella esistenziale non sono scindibili, si alimentano reciprocamente. Proprio seguendo queste suggestioni il film è il racconto di una storia italiana del tutto originale, costruita attraverso libere associazioni, immagini metaforiche ed evocative”.

La lunga intervista (cinque incontri che compongono un totale di dieci ore di girato, ora conservate a Luce Cinecittà in un Fondo Fofi) è nutrita da fotografie, illustrazioni, materiali di repertorio con un uso spesso “evocativo” – il montaggio è di Aline Hervé – che vanno dal 1937, anno di nascita di Fofi, passando per le Fosse Ardeatine dove venne condotto bambino da suo padre, il Cortile Cascina di Palermo dove la miseria era tale che i bambini morivano di denutrizione, il set di Ben Hur a Cinecittà, dove fece la comparsa, la Torino post bellica, dove “non si affitta a meridionali”, la Parigi dei Cahier e di Positif (lui scriveva su questa seconda perché i Cahiers “erano di destra”).

Una parte nodale del film riguarda il ’77 e la contestazione “divenuta ben presto una recita con i recitanti da una parte e i brigatisti dall’altra” o anche “un western all’italiana”. “La vicenda personale, culturale e politica di Goffredo Fofi – spiega ancora Pesoli – si è sempre nutrita di contraddizioni, accesi confronti e importanti ripensamenti, il tutto sorretto da una vocazione pedagogica mai abbandonata. E dunque un film che lo racconta può essere tutto meno che celebrativo, il personaggio non lo consente. Il film, coerentemente con questa premessa, non evita lo scontro e la contraddizione culturale, anzi trae da questo parte della sua vitalità”.

Pesoli, quando e come nasce il suo rapporto con Goffredo Fofi?

Dalla seconda metà degli anni ’70, allora io ero il giovane di bottega di “Scena”, una rivista di spettacolo che Goffredo realizzava con Antonio Attisani, una delle tante sue riviste, tra cui si annoverano “Ombre rosse”, “Quaderni piacentini”, “Linea d’ombra”, “Poco di buono”, “Il piccione viaggiatore”, “Dove sta Zazà”, “La terra vista dalla luna”, “Lo straniero” e oggi “Gli asini”. Di recente, incontrandolo un giorno, ho avuto l’idea di raccontare la storia della sua avventurosa esistenza, avventurosa sul piano pratico e anche ideale. E lui ha accettato.

Il film si apre con una presa di distanza molto chiara: “gli intellettuali italiani sono ignoranti”, afferma Fofi. Come si colloca la sua figura nel panorama complessivo?

Ci sono due elementi che lo distinguono dagli intellettuali di oggi e anche di ieri. Praticare ciò che dice, nel senso che non è l’intellettuale da salotto che fa una vita borghese, ma dimostra una totale coerenza tra il pensiero e l’azione, e questo ne fa un unicum. L’altro aspetto è la convinzione che la battaglia delle idee sia un elemento vivificante e non un elemento da evitare. Nella sua visione si impara di più dagli scontri che dai consensi. Ha litigato quasi con tutti e ha fatto pace con molti. In lui c’è una continua dialettica, un vagabondaggio psicologico, culturale e anche fisico.

Nel film assistiamo appunto a questo viaggio, nel tempo e nei luoghi, da Sud a Nord. È un viaggio in Italia anche grazie ai materiali di repertorio di notevole interesse.

È un’Italia che parte dalla fine degli anni ’50 in Sicilia dove c’era una miseria assoluta. Ogni tappa fisica rappresenta anche una tappa del percorso di Fofi. Palermo è la non violenza e l’intervento sociale, Torino la lotta di classe e la Resistenza, Parigi la cinefilia e così via.

Cosa resta oggi di questo impegno, anche politico e sociale, non dico in Fofi ma nell’Italia contemporanea?

Goffredo ci dice che si può fare politica anche con una bella poesia. Lui risponde in modo più largo dal punto di vista culturale, del resto a 83 anni è ancora lì che fa una rivista, “Gli asini”, di intervento sul sociale, e ha intorno giovani che lavorano con lui e scrivono, non ha mai perso l’attitudine e la coerenza. Attorno a lui c’è un’atmosfera di comunità, quando ho chiesto disegni e fotografie tutti sono stati estremamente generosi con me in nome di Goffredo. Esiste altro oltre al mercato e alle sue logiche? Che si può fare in una società che sembra aver dimenticato il valore della convivenza e si è incattivita, si è fatta rancorosa, xenofoba, piena di paure, aggressiva e conformista? Non esiste una risposta univoca a queste domande che Goffredo Fofi pone anzitutto a se stesso, ormai con una certa venatura di pessimismo. Sono domande però che non si possono ignorare perché permettono di mantenere uno sguardo critico e libero sul mondo.

Parlando di cinema, mentre non mancano riferimenti e critiche rispetto al cinema del passato, con le ‘stroncature’ di Antonioni e Fellini, mi sarei aspettata qualche bordata contro il cinema contemporaneo.

Le affermazioni su Antonioni e Fellini contengono una autocritica, Fofi ammette di essere stato colto da un furore ideologico in cui criticava tutti i registi che non erano rivoluzionari. Sul versante contemporaneo, lui pensa che autori come Alice Rohrwacher, Roberto Minervini e Pietro Marcello siano il meglio del cinema europeo. Nelle dieci ore di conversazione che abbiamo fatto si parla anche di questo, ma ho preferito accentuare l’aspetto del lavoro sociale che è quello che più gli interessa attualmente.

Ha scelto anche di fermare la narrazione agli anni ’70. Per il presente si limita a dare le indicazioni sul che fare: resistere, studiare, fare rete e rompere i coglioni.

Dopo gli anni ‘70 la vita di Goffredo è diventata meno randagia e il vagabondaggio era già sufficientemente ricco. Poi ci siamo avvicinati all’oggi attraverso le riviste che sono tuttora l’elemento dinamico della sua vita.

Fofi ha visto il film?

Non lo ha visto, dice che lo vedrà tra un mese quando tutto si sarà calmato. Mi aspettavo una risposta del genere da lui, anzi mi aspettavo che non volesse vederlo affatto. Si vuole tenere fuori dalla parte dei commenti.

Cristiana Paternò
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