Massimo Cantini Parrini: “Un bel segnale per il cinema italiano”

Intervista a Massimo Cantini Parrini, candidato agli Oscar per il suo lavoro nel film Pinocchio di Matteo Garrone


“La mia vittoria è stata la candidatura: non capita tutti i giorni di vedere il tuo nome apparire nella rosa degli unici cinque costumisti al mondo considerati, appunto, ‘da Oscar'”. A parlare è il Massimo Cantini Parrini, candidato agli Oscar per il suo lavoro nel film Pinocchio di Matteo Garrone. Nella categoria ‘migliori costumi’ gareggiava con Trish Summerville per Mank, Bina Daigeler per Mulan, Alexandra Byrne per Emma e la vincitrice Ann Roth per Ma Rainey’s Black Bottom. E’ stato uno dei quattro italiani nominati per l’ambita statuetta della 93ma edizione, insieme a Dalia Colli e Francesco Pegoretti, per il miglior trucco sempre per Pinocchio, e Laura Pausini per la migliore canzone originale (Io sì/Seen del film La vita davanti a sé): “Le nostre candidature sono state un bel segnale per l’Italia – ha commentato Cantini Parrini – specie in questo anno così difficile in cui gli artisti non hanno avuto voce per esprimersi”.

Le è dispiaciuto non essere andato a Los Angeles?

Ho seguito la cerimonia dall’Italia perché, a parte Laura Pausini che doveva cantare, i candidati europei causa Covid sono rimasti a casa. Da una parte è stato un peccato vivere l’emozione solo “a metà”, dall’altra non mi lamento, mi sono risparmiato lo stress del viaggio.

Previsioni per il prossimo futuro: cosa si aspetta che cambi dopo aver ricevuto la nomination agli Oscar?

Non mi aspetto nulla, per me la nomination è stata il riconoscimento di tante fatiche, un raccogliere il seminato che mi ha tanto sorpreso quanto gratificato. Per il resto, sul versante lavorativo più porte si apriranno meglio sarà, spero di essere all’altezza delle aspettative. 

Il prossimo 11 maggio gareggerà ai David di Donatello, peri costumi di Miss Marx.

La regista Susanna Nicchiarelli ha raccontato una storia potente, quella vera della figlia di Karl Marx, dandomi assoluta libertà nel mio lavoro. Ho scelto di essere piuttosto fedele alla miriade di foto e ritratti che abbiamo di lei, per un motivo di rispetto verso una figura così importante, oltre che realmente esistita.

In che modo sceglie i progetti a cui lavorare?

Tutto nasce dalla sceneggiatura, che leggo sempre da spettatore, più che da costumista. Mi deve convincere, ho bisogno di emozionarmi ed entrare a fondo alla storia. Poi, ovviamente, la rileggo da costumista, penso ai personaggi da vestire, mi faccio venire delle idee.

Stiamo sul momento della creazione: da dove trae ispirazione?

Mi tuffo nei musei, anche a caso. Traggo sempre ispirazione dall’arte, contemporanea e non solo. Per Indivisibili di Edoardo De Angelis ho seguito l’ispirazione di due ninfee viste nei mosaici di Pompei, mentre per Dogman mi sono venute idee guardando una mostra di De Chirico. All’ispirazione segue la ricerca, mi piace documentarmi da storico del costume. Last but not least, mi ispirano le persone con cui lavoro, dai registi agli attori, con cui cerco sempre di parlare il prima possibile proprio per confrontarmi. Il mio è un lavoro che si basa su una collaborazione enorme, non sono assolutamente il tipo del “Faccio tutto io”.

A proposito di registi, è molto legato a Matteo Garrone, dopo Il racconto dei racconti, Dogman e quel Pinocchio per cui è stato candidato all’Oscar.

Con Matteo siamo veramente amici, non è un modo di dire. E’ un cineasta straordinario con una cultura visiva senza pari, per Pinocchio abbiamo parlato molto dei macchiaioli toscani e optato per una linea non dark, ispirandoci a Carlo Chiostri e Enrico Mazzanti, i primi disegnatori della novella di Pinocchio.

Che cosa ha convinto tanto, a parer suo, del vostro lavoro in Pinocchio?

Il cuore dell’artigianalità, l’invecchiamento studiato dei costumi, il made in Italy, il saper restituire l’aria favolistica in personaggi iconici come la Lumaca, e insieme quel verismo popolare per raccontare anche la realtà della povertà di quegli anni, nella Toscana della seconda metà dell’800.

Per Pinocchio ha collaborato, tra gli altri, con Roberto Benigni e Gigi Proietti. Che esperienza è stata?

Umanamente arricchente. Mi resta impressa la gentilezza di Roberto Benigni, con cui mi auguro di cuore di poter lavorare di nuovo. E l’ironia di Gigi Proietti, il nostro indimenticabile Mangiafuoco: si è affidato a noi per un personaggio che ha reso tutt’altro che detestabile, grazie alla sua straripante umanità.

Prossimi progetti: dopo Favolacce torna a lavorare con i Fratelli D’Innocenzo, cosa può dirci al riguardo?

Per America Latina ho lavorato su un misto tra contemporaneità e vintage. Sono un amante del vintage, mi piace reinventare i vestiti, non uso mai brand, ma taglio, cucio, trasformo. L’ho imparato da ragazzino, in sartoria da mia nonna a Firenze. E’ partito tutto da lì.

Ha appena terminato la lavorazione del Cyrano di Joe Wright: com’è andata?

Ho scoperto una persona fantastica in Wright, oltre che un regista dalla professionalità nota a livello mondiale. E’ il mio primo film americano, tutto ambientato tra l’altro nel Settecento, e non sono neanche dovuto andare troppo lontano: abbiamo girato in Sicilia. 

26 Aprile 2021

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