Harvey Keitel “nella bocca del lupo”

Ospite di Filming Italy Sardegna, l'attore americano si commuove ripensando al lockdown e alla reazione degli italiani


SANTA MARGHERITA DI PULA (CA) – “L’Italia è sempre stato un Paese di grande ispirazione per me, anche durante la pandemia”. Fa un certo effetto vedere un attore di immenso talento come Harvey Keitel, che nella sua lunga carriera ha spesso interpretato ruoli virili e mascolini, commuoversi pronunciando queste parole. Ma le lacrime sono il segno dell’umanità di questa grande star di Hollywood, oggi 82enne, che nel corso del Filming Italy Sardegna Festival, in veste di presidente onorario della quarta edizione, ha riflettuto più volte su questi ultimi mesi così dolorosi, parlando con noi del suo rapporto con il cinema italiano e del sodalizio con Martin Scorsese.

Mr Keitel, che valore ha partecipare a questo festival?

È così importante che le persone si riuniscano come comunità e scambino le loro idee, le loro ansie, i loro dubbi, condividendo tutto questo nel lavoro.

Cosa ha significato per lei quest’ultimo anno e mezzo?

Quando è scoppiata la pandemia, è stato un periodo veramente terribile a New York, come nel resto del mondo. Le persone hanno iniziato a morire. Come facevo da giovane, ho guardato il cielo chiedendo aiuto agli angeli, ma poi ho capito che stavo cercando nel posto sbagliato. Gli angeli erano tutti intorno a me e a noi. Gli angeli erano i soccorritori, i medici, gli infermieri, tutti coloro che cercavano di aiutare le persone a sopravvivere. Un giorno ho acceso la tv e al telegiornale mandavano in onda le immagini del lockdown in Italia. Ho visto le persone affacciate alle finestre e sui balconi cantare canzoni, scambiarsi parole. Non potevo credere ai miei occhi. Solo gli italiani potevano inventare una cosa del genere. Abbiamo fatto lo stesso a New York. È stata una delle cose più stimolanti che abbia mai visto in vita mia e, mi ripeto, poteva venire solo dalla cultura italiana. Il vostro Paese è sempre stato di grande ispirazione per me. Ci avete dato il coraggio di andare avanti.

Lei nella sua carriera ha lavorato con tanti registi italiani. Che ricordo ha?

Sono tutti incredibili, sensazionali. Lina Wertmüller, Renzo Martinelli, Ettore Scola, Paolo Sorrentino. Cosa posso dire di loro? Tutti conoscono la loro bravura. Il talento di Sorrentino parla da solo, non c’è bisogno che lo dica io. Di Scola ricordo di quando mi chiamò perché L’ultima tentazione di Cristo, di Martin Scorsese (nel quale Keitel faceva Giuda, ndr), fu bandito dalla Chiesa italiana. Al telefono mi disse: “Ancora non ho visto il film, ma penso che sia bello”.

Ultimamente ha lavorato anche con un altro regista italiano, Davide Ferrario, nel dramma storico Just Noise.

Ferrario ha fatto veramente un buon lavoro, partendo dalla brillante sceneggiatura di Jean Pierre Magro. È un film ispirato alle rivolte del 1919 a Malta, dove ci fu la prima vera rivoluzione del popolo per ottenere l’indipendenza dalla Gran Bretagna. Io sono il governatore dell’isola, il generale Hunter Blair. Per ora, a causa della pandemia, il film è uscito in America solo in tv, ma spero si vedrà anche al cinema.

Il cinema è meglio della tv?

Quando approdai a Hollywood, feci due partecipazioni in tv come guest star. Mi sono reso conto, però, che non faceva per me. Poi una volta guardando una brava attrice recitare sul piccolo schermo, mi sono detto: la colpa non è della tv, ma è tua. Harvey devi fare meglio. Penso che la televisione sia un mezzo potente. Ha bisogno di riforme, non di essere distrutta.

Lei rimane nell’immaginario collettivo il Mr Wolf di Pulp Fiction di Tarantino, un uomo che risolve problemi. Qual è, secondo lei, il problema da risolvere oggi?

Quello che riguarda il cambiamento delle culture. Platone diceva non si cambiano le persone semplicemente parlando con loro. Io penso che solo l’arte possa cambiare il mondo e rendere davvero uguali le persone. Io da giovane avevo una mentalità chiusa. Ero una persona che non cambiava mai idea. Sono stato un marine degli Stati Uniti per un certo numero di anni. L’incontro con un ragazzo, che poi è morto troppo giovane, mi ha cambiato la vita. Mi regalò The Arrogance of Power, un libro scritto da J. William Fulbright. Mi ha aiutato a rendermi conto della mia stupidità e della mia arroganza. Quindi i cambiamenti sono possibili.

Quali sono i suoi prossimi progetti?

Spero di far parte di quello di mia moglie Daphna Kastner. Lei parla italiano, ha trascorso del tempo nel vostro Paese e ha un film, rivolto in particolare all’Italia, chiamato In the Mouth of the Wolf (Nella bocca del lupo). Spero che alcuni produttori anche qui siano interessati a questo lavoro.  

Tornerà anche a lavorare con Scorsese? Il vostro incontro è stato fondamentale nella sua carriera.

Non ora, ma spero di lavorare presto con lui. Quando ci siamo conosciuti eravamo dei ragazzi. Lui era uno studente. Io ero alla scuola di recitazione, mentre vendevo scarpe. Nei weekend abbiamo realizzato insieme il film Chi sta bussando alla mia porta, su pellicola 35 mm. Un giorno ho rivisto insieme a lui una scena in cui il mio personaggio entra in una chiesa, con la macchina da presa ferma su icone e crocefissi. Ho capito quanto fosse importante il rapporto di Martin con la religione, che rispetto e sensibilità avesse per la spiritualità. Questo è il primo ricordo che ho di noi ed è qualcosa di speciale.

Giulia Bianconi
24 Luglio 2021

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