Aurora Giovinazzo: “Io, fotocopia di Anna Magnani in Roma città aperta”

Aurora Giovinazzo vince il Premio Meno di Trenta 2022 come Miglior Attrice Cinema, al Festival di Spello: “Io, ispirata dai piani d’ascolto di Anna Magnani”


SPELLO – Aurora Giovinazzo, vent’anni il prossimo 18 aprile, nell’ambito del Festival del Cinema di Spello e dei Borghi Umbri 2022, è stata scelta dalla giuria della terza edizione del Premio Meno di Trenta come Miglior Attrice Cinema

Aurora, il riconoscimento è per il ruolo di Matilde in Freaks Out di Gabriele Mainetti, in cui in fondo interpreti una super eroina, non in tutina e calzamaglia ma certamente con speciali poteri. Nel preparare il personaggio ti sei confrontata con l’idea del super eroismo e con quella di metterlo in scena al femminile nel cinema italiano, in cui non c’è una tradizione? 

 Pensando all’inizio il personaggio con Gabriele non lo abbiamo mai basato sul confronto con un’eroina, perché lei non accetta nemmeno la sua particolarità, il suo dono. Prima di parlare con Mainetti, e capire bene chi dovessi mettere in scena, ho pensato ‘wow! sarò una super eroina italiana, fighissimo!’, ma ho poi capito che avrei dovuto lavorare esclusivamente sulla fragilità e sul carattere che rappresentano Matilde; la maniera infantile con cui lei si approccia con le persone è stata la strada che ho dovuto seguire, l’ingenuità che ha nei confronti della gente nell’ambito della Seconda Guerra Mondiale, al di là del fatto che sì, alla fine del film, possiamo ricordare un’eroina. 

Con che spirito si accoglie un premio, in particolare che riconosce il talento Under 30, e che quindi confida di investire chi lo riceve di una responsabilità che sia quella di sbocciare ancor di più d’ora in poi?

Io sono una persona molto competitiva, ovvero: pratico sport a livello agonistico, per cui mi capita spesso di affrontare della gare e fare di tutto per vincerle, quindi, sia nell’ambito della danza, che in quello attoriale, vincere un premio è molto bello, è soddisfacente. Vincere un premio significa essere felice perché ce l’ho fatta, perché posso dirmi di essere arrivata a ‘toccare la gente’, a emozionare, che – ripeto sempre – è il mio scopo, sia nel ballo che nella recitazione. Se vinco un premio sono felice perché spero sia sinonimo di aver messo in pratica bene la mia intenzione, per quanto il ruolo in Freaks Out l’abbia fatto quattro anni fa, e adesso subentri anche un po’ di autocritica. Però, ricevo questo Premio con il sentimento di dare di più e di avere anche più sicurezza, perché sì, tra poco abbandono il titolo di teenager e divento una ventenne, ma noi giovani siamo dotati di molta insicurezza e vincere dei premi ci aiuta a capire che magari stiamo andando verso la giusta direzione. Abbiamo solo vent’anni, potremmo cambiare passione e strada da un momento all’altro, quindi avere qualcosa di concreto che ci aiuti a capire che ‘magari, cavoli, sto facendo tutto bene’, che si concretizza nel premio, nel parare delle persone, nel consenso che ti arriva nel concreto, fa salire un po’ di autostima. 

Tornando a Freaks Out, a mio parere emerge di te un talento che fa ricordare quello antico e grandioso di certe grandi attrici del nostro cinema, mi sembra di aver colto sfumature dell’ espressività e dell’energia drammatica di Anna Magnani, per esempio. Sei solo figlia del tuo tempo o conosci e studi le grandi interpreti del cinema italiano?

Sì, sono certamente figlia del mio tempo, ma devo anche ammettere che il mio primo film in bianco e nero l’ho visto proprio con Gabriele Mainetti, era Roma città aperta. E da lì ho capito quante cose mi fossi persa del cinema! Avevo quindici anni, ed è scattato un ‘click’, quell’interruttore che ti lascia un po’ interdetta, affascinata… da uno sguardo, da un film, da un ruolo, dalle movenze. Quindi sì, ho rubato con gli occhi, ma poi sono andata molto di pancia per Freaks Out. Dell’interpretazione della Magnani credo di aver assorbito, più di tutto, i piani d’ascolto, mi sono rimaste impresse quelle micro espressioni che fanno la differenza sul volto, di una donna soprattutto, e anche Matilde ne aveva molti: certamente sono stata una bruttissima fotocopia, di una fotocopia, di una fotocopia sua, ma penso di aver fatto proprio questo, infatti mi ricordo, alla prima visione del film di Rossellini, di aver davvero notato i suoi piani d’ascolto; se guardi dettagliatamente i suoi occhi, la sua bocca, succede che non ti godi il film ma guardi solo lei!  

Hai una capacità espressiva e una presenza scenica molto versatili, da che percorso derivano, come le alimenti e valorizzi? Con lo studio, oppure direttamente con la pratica sul set?

 Sono sempre andata di pancia. Anche se sto affrontando gli ultimi lavori in maniera diversa rispetto a quando avevo 14/15 anni, c’è uno studio maggiore, un po’ più maturo, un po’ più pensato. Non ho mai studiato espressamente, sono sempre stata indaffarata tra lo sport agonistico e la scuola, ma ora che ho finito le superiori avrò modo sicuramente di approfondire gli studi. Non so se sia un bene o un male ma di certo io sono istintiva: l’istinto è fondamentale, sì, ma anche avere della basi ritengo sia una cosa sana e giusta. 

Se si può svelare, quali sono i prossimi personaggi in cui ti vedremo al cinema o su cui stai lavorando, so che proprio in questi giorni sei su un set?

In programma ci sono dei progetti, attualmente sono a Torino per le riprese de L’uomo sulla strada, regia di Gianluca Mangiasciutti: è un thriller, il mio personaggio è abbastanza testardo, particolare, mosso da un senso di giustizia che vuole farsi, perché ha perso il padre da bambina, assistendo in diretta al fatto, ma purtroppo non ricorda il volto del pirata che l’ha ucciso, quindi lei passa la sua esistenza a cercare di ricordare questo viso, a cercare di mettersi l’anima in pace. Così, anche questo è un personaggio che – un po’ come Matilde – vive nei sensi di colpa, ma con un lato un po’ più selvaggio, è come se fosse cresciuta in cattività. 

Nicole Bianchi
17 Marzo 2022

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