Ferretti e Lo Schiavo: “presto di nuovo a Cinecittà con un film americano”

I tre volte premi Oscar Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo, ospiti del Filming Italy Sardegna Festival, ci parlano della carriera, degli incontri importanti (compreso il loro) e dei prossimi proget


CAGLIARI – Due premi Oscar di casa negli Studi di Cinecittà. Tre statuette vinte a testa, un lavoro riconosciuto in tutto il mondo e il desiderio di continuare a realizzare scenografie che fanno sognare. Dante Ferretti Francesca Lo Schiavo, ospiti della quinta edizione del Filming Italy Sardegna Festival, con un’energia e un’ironia invidiabili ci parlano della carriera, degli incontri importanti (compreso il loro) e dei prossimi progetti, tra i quali ci sono L’Odissea di Uberto Pasolini e una grande produzione americana, sulla quale per ora vige il massimo riserbo, che verrà realizzata anche negli Studi di via Tuscolana.

Qual è stato il film che ha cambiato la vostra carriera?

Lo Schiavo: E la nave va di Federico Fellini. Quella è stata la prima volta che ho incontrato il maestro. Avevo un timore reverenziale nei suoi confronti. Conoscendolo ho capito, attraverso il suo genio, che fare cinema in un certo modo significava dare spazio a sentimenti e visioni che non avevano limite. E grazie a lui ho capito che questo lavoro avrebbe fatto parte della mia vita.

Ferretti: Il film più importante della mia vita, e che ho amato di più, è stato il primo con Pier Paolo PasoliniIl Vangelo secondo Matteo. Allora ero ancora un assistente dello scenografo Luigi Scaccianoce. Ma lui se ne andava spesso e ricordo di aver scelto io tanti luoghi dove girare il film tra i sassi di Matera, compreso quello della crocifissione di.Gesù.

Ferretti, si parla spesso del suo rapporto con Fellini, ma quanto è stato importante l’incontro con Pasolini?

Con lui credo di aver imparato delle cose che erano completamente al di fuori della mia “scultura”. Mi ha insegnato tantissimo. Io devo tutta la mia carriera a Pasolini. Mi ha dato la forza per andare avanti e conoscere tanti registi. Dopo Il Vangelo ho fatto altri tre suoi film come assistente e poi sono diventato primo scenografo. Salò o le 120 giornate di Sodoma è stato l’ultimo che abbiamo fatto insieme, un film straordinario, uscito dopo la sua morte.

Quest’anno ricorre proprio il centenario della nascita di Pasolini.

Lo scorso febbraio sono stato a Los Angeles per ricordarlo. Ci saranno state seicento persone. È stato un grande regista e uomo di cultura, un poeta, uno scrittore, un genio che conosceva la gente, una persona molto umana. Lo hanno trattato male per la sua omosessualità e le sue idee politiche di sinistra, era un personaggio scomodo, ma sempre attento ad aiutare le persone. Per un lungo periodo la cultura italiana lo ha cancellato, improvvisamente lo ha riscoperto come uomo e artista. Una grande ipocrisia.

Avete nostalgia del cinema che avete fatto?

Lo Schiavo: No, perché fa parte della nostra vita e siamo contenti di aver avuto delle occasioni sempre importanti per creare dei film. La nostalgia riguarda più il fatto che oggi in Italia è difficile che ci siano film in cui si dà spazio alla parte visiva. Sorrentino, Garrone e pochissimi altri registi hanno interesse a creare storie che prendono vita anche grazie ad ambienti che aiutano a rendere credibile la recitazione degli attori.

Qual è l’Oscar che vi ha resi più felici?

Il primo nel 2005 per The Aviator di Martin Scorsese. Non vincevano mai, gli amici ci prendevano in giro dopo le tante nomination. Il pittore Paolo Tamburella ci ha chiesto le fotocopie delle nostre candidature e con quelle ha realizzato un quadro che poi ci ha regalato. Quell’anno non volevamo presentarci a Los Angeles, pensando di non prendere l’Oscar neppure quella volta. Ma Scorsese ha detto che dovevamo andarci per forza. Siamo arrivati impreparati. Tanto che quando Halle Berry ha detto i nostri nomi, siamo riusciti a dire solo poche parole di ringraziamento.

Guardando alla Hollywood di oggi, tra il politically correct e le nuove regole di inclusione, quanto è cambiata rispetto a quando avete iniziato voi a frequentarla?

Lo Schiavo: Io ho sempre considerato certe cose scontate, come il rispetto nei confronti di tutti. Non ci dovrebbero essere tabù di nessun genere in questo mestiere e non si dovrebbero sottolineare certe disparità, anche con violenza talvolta. La persona va rispettata in toto. Io sono diffidente riguardo a questa nuova tendenza nei film e nelle serie di inserire per forza la persona di colore o di altro orientamento sessuale. Ora l’Academy ha deciso addirittura di partecipare all’Lgbtq Pride di Los Angeles con un’enorme statua di un Oscar. Io lo trovo esagerato perché per me è scontato dover rappresentare tutti. L’importante è scrivere belle storie.

Dovevate realizzare l’ultimo film di Scorsese, Killers of the Flower Moon, poi è saltata la vostra collaborazione. Cosa è successo?

Lo Schiavo: Eravamo in preparazione in Oklahoma quando è arrivata la pandemia e la partenza del film è slittata. Il Covid è stato una specie di terremoto che ha cambiato tutto. Perché Scorsese ha deciso di modificare praticamente tutta la sua squadra di lavoro. Noi avevamo preparato un ambiente selvaggio che poi si è trasformato, da quello che sappiamo, in western.

Ferretti: Ci abbiamo lavorato un anno e mezzo. Scorsese mi ha mandato prima una lunga email in cui mi diceva che non si faceva più nulla, e poi un’altra per sottolineare la grande stima nei miei confronti. Tutta la progettazione era stata decisa, comprese le inquadrature, e improvvisamente è saltato tutto. Naturalmente mi sono dispiaciuto.

Non vi siete sentiti al telefono?

Non ci parliamo così con Scorsese. Ci siamo sempre incontrati durante la lavorazione dei suoi film. Ma in tutti questi anni non si è mai creata un’amicizia così forte da spingerci a telefonare anche per sapere come vanno le cose. È accaduto raramente.

I vostri prossimi progetti quali sono?

Ferretti: Partiamo per il Giappone per la La bohème, di cui faccio anche la regia. Sto facendo scene, costumi e regia pure del Werther per il Teatro Carlo Felice di Genova e mi hanno chiamato per fare l’Aida all’Arena di Verona per la prossima stagione.

E tra i progetti cinematografici?

Dovremmo realizzare quattro film americani, staremo a vedere cosa succede. Uno anche negli Studi di Cinecittà, dove è previsto un lavoro di grande ricostruzione di set. Poi c’è un film su Federico Fellini, al quale teniamo molto per ovvie ragioni, che però è slittato alla fine dell’anno. Il prossimo anno lavoreremo a L’Odissea di Uberto Pasolini, un regista che ci piace molto. Il film verrà girato in Sardegna, ma pensiamo una parte anche a Cinecittà.

Un tempo si parlava anche di una serie su Diabolik che doveva essere fatto negli Studi.

Ferretti: Io avevo preparato tutto il progetto. Poi è sfumato perché gli investitori si sono tirati indietro. Capita delle volte. Io comunque a Cinecittà vado sempre, ogni mattina. Faccio finta di lavorare (sorride, ndr), poi pranzo e mi stendo sul divano del mio studio a riposare.

Gli incontri nel vostro lavoro sono stati importanti. Ma il vostro com’è stato?

Ferretti: Ci siamo conosciuti d’estate qui in Sardegna, Francesca era ospite di Puny De André e ci siamo visti la prima volta all’inaugurazione di casa mia. Abbiamo scoperto che entrambi a Roma abitavamo ai Parioli, vicinissimi l’uno all’altra e che parcheggiavamo le nostre auto nello stesso garage senza esserci mai incontrati. Lei ha iniziato a lasciarmi dei messaggi nei sacchetti di plastica, così è iniziata la nostra storia e da allora non ci siamo più lasciati.

Giulia Bianconi
12 Giugno 2022

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