Mario Martone: “Ippolita, Fabrizia, Iaia e le altre”

In questa intervista Martone ci parla del suo laboratorio aperto e della collaborazione con tante figure femminili, da Fabrizia Ramondino a Ippolita Di Majo


PESARO – È il regista dell’anno, nelle parole di Pedro Armocida: Mario Martone, protagonista dell’Evento speciale di Pesaro 58. E non è lontano dal vero, il direttore della Mostra del Nuovo Cinema. Con due film importanti come Qui rido io e Nostalgia, nel volgere di pochi mesi, uno in concorso a Venezia e l’altro a Cannes. Con il Premio Fiesole Maestri del cinema lo scorso anno e con la retrospettiva di Pesaro quest’anno, accompagnata dal volume Marsilio, una raccolta di saggi curata da Armocida con Giona A. Nazzaro. E’ il momento per fare il punto sulla straordinaria carriera del regista napoletano, classe 1959. Un punto necessariamente provvisorio e in progress. Intanto a Pesaro è il momento di rivedere la sua opera prima Morte di un matematico napoletano, un sasso gettato nell’acqua stagnante del cinema italiano dei primi anni ’90 con l’effetto di rimettere in moto energie creative e volontà, mentre stasera in Piazza c’è l’ultimo suo impegno, Nostalgia dal romanzo di Ermanno Rea con Pierfrancesco Favino, Tommaso Ragno, Francesco Di Leva. Tavola rotonda affollata per Martone con interventi di critici e saggisti ma anche di collaboratori stretti, membri della sua ‘fratellanza di cinema’: il dop Renato Berta, l’attrice Iaia Forte e soprattutto Ippolita Di Majo, compagna di vita e di creazioni. Cinecittà News lo ha intervistato. 

Che legame ha con Pesaro e con il suo festival?

Un legame forte grazie alle regie liriche fatte al Rossini Opera Festival, mentre il festival rappresenta per me un luogo fondante della cinefilia autentica.

Il libro sottolinea come il suo lavoro sia costruito su un’idea di officina in cui le collaborazioni sono fondamentali.

L’amicizia regola tutto il mio lavoro, fin dall’inizio, dal ’77, quando diedi vita a Falso Movimento, con i primi lavori di avanguardia in teatro. C’è una disposizione fraterna, qualcosa che politicamente è contrario a un’idea paterna e patriarcale. Si collabora, ci si vuole bene, si può anche litigare, ma si cercano insieme le soluzioni. Mi considero a metà tra il giardiniere e il mago.

E c’è anche quest’idea di laboratorio permanente, di work in progress.

È vero. Senza Il sindaco del Rione Sanità, nato dall’incontro con Francesco Di Leva e il suo fare teatro a San Giovanni a Teduccio, quindi con la possibilità di rileggere Eduardo, non ci sarebbe neanche Qui rido io, perché parlando di Eduardo ci siamo imbattuti in Scarpetta. E non ci sarebbe Nostalgia, senza Di leva e la figura del prete che lavora con i ragazzi della Sanità. Una figura che mi affascinava e mi preoccupava, per il rischio di retorica, ma che grazie a Francesco acquista un senso. Con Iaia Forte abbiamo fatto Le operette morali e senza quello spettacolo non ci sarebbe Il giovane favoloso. Poi Leopardi mi ha riportato a Napoli.

Martone, il suo rapporto con le donne è sempre stato importante e fecondo, nella prima fase della sua carriera c’è il sodalizio con Anna Bonaiuto, adesso con Ippolita Di Majo.

Per Morte di un matematico napoletano mi sono incaponito a scrivere con Fabrizia Ramondino, una scrittrice che non aveva mai lavorato per il cinema e che pensavo sarebbe stata la guida giusta per entrare nel mondo di Renato Caccioppoli. È stato un incontro fondamentale della mia vita, una mia maestra.

Tra l’altro è stata lei a suggerirle L’amore molesto di Elena Ferrante.

Mi faceva leggere varie cose e mi diede questo libro di Elena Ferrante, appena uscito, di cui non si sapeva niente. Mi disse che era un giallo, bello. Me lo portai in America dove presentavamo Morte di un matematico e mi piacque moltissimo. Sentivo il film e capivo che c’era la possibilità di avere un ruolo importante per Anna Bonaiuto, che aveva già recitato nella mia opera prima.

Le figure femminili importanti sono tante ne L’amore molesto, in Teatro di guerra.

Ho lavorato con Valia Santella, con Nina Di Majo che poi è diventata regista. E poi le attrici: Licia Maglietta, Iaia Forte, Anna Bonaiuto. Che un regista lavori con le attrici è normale, ma a me piace avere accanto attori e attrici creativi e creatori, che non siano semplicemente da dirigere.

Poi c’è l’incontro con Ippolita.

Che fa da spartiacque nel mio percorso cinematografico. In Noi credevamo, che avevo scritto con Giancarlo De Cataldo, Ippolita ha collaborato all’aspetto iconografico e musicale, cose che per noi fanno comunque parte della sceneggiatura. Quindi abbiamo adattato per il teatro Le operette morali, per poi scrivere Il giovane favoloso. Da allora abbiamo lavorato sempre insieme. Per noi la sceneggiatura è un work in progress che prosegue durante le riprese e che si allarga alle immagini, ai luoghi, alla musica, al cast, ai costumi, con un’idea molto aperta.

C’è un rapporto sempre molto forte con i luoghi: il Cilento, Capri, la Sanità.

Mario Martone. Facciamo insieme i sopralluoghi, vediamo un luogo e questo luogo improvvisamente cambia le scelte di sceneggiatura.

Ippolita Di Majo. Nella scrittura lavoriamo separatamente. Discutiamo la scaletta, i personaggi, poi però ognuno di noi scrive per conto suo. Alle volte discutiamo e ci ritroviamo l’indomani ciascuno sulla posizione dell’altro.

C’è una scena in Nostalgia, quella in cui Felice lava la madre e la accudisce, che ha colpito molti per la qualità di cura femminile e di pietas.

Ippolita Di Majo. E’ nel romanzo di Ermanno Rea, ma devo dire che la ‘temperatura’ femminile è frutto del lavoro di Mario e Pierfrancesco. Immaginare un maschile diverso che contiene un femminile felicemente espresso che venga dagli uomini, dal loro interno, è una cosa rivoluzionaria.

Mario Martone. C’è un aspetto che nel romanzo non è esplicito: che Felice Lasco sia musulmano dopo quarant’anni di vita in Egitto. Abbiamo portato la descrizione della sua vita in Nordafrica addosso al personaggio facendolo parlare arabo e convertire all’Islam. Questo aspetto fa parte di quella scena. Nell’Islam abbiamo scoperto un elemento di delicatezza, fuori da tutti i luoghi comuni. Questa qualità riguarda anche il rapporto tra i due amici, una vicinanza che ho visto spesso tra i Sarawi o in quelle zone.

Martone, lei è senza dubbio un artista che ha integrato molto bene la parte femminile, l’anima come la intende Jung.

L’ho detto a Pierfrancesco: sei un attore anima, nel senso junghiano del termine. Come si poteva dire di Charlie Chaplin. Viceversa, se si pensa ad Anna Magnani, è un’attrice animus.

Antonio Capuano polemizzava qui a Pesaro sull’uso degli attori non napoletani in Nostalgia. Io rovescerei la prospettiva. Martone ha sempre utilizzato gli attori napoletani ma in questo film sembra alla ricerca di un punto di vista diverso.

Non si deve essere schiavi delle forme immutabili. Nessuno più di me ha lavorato con gli attori napoletani e lo dico senza falsa modestia. Basta vedere Qui rido io, che è una specie di summa antropologica dell’attore napoletano. Ma Nostalgia è fatto di proposito con attori non napoletani perché volevo dare a questa storia un’epicità e una distanza in cui Napoli fosse una maschera da indossare. In Nostalgia c’è il coro come nella tragedia greca, è il coro della Sanità, persone che vengono dalla strada, poi c’è il personaggio di mezzo, il Virgilio, che è Francesco Di Leva, il tramite tra questo coro e il mondo dei protagonisti, Felice e Oreste, Pierfrancesco Favino e Tommaso Ragno.

D’altronde è anche un film sulla dialettica tra prossimità ed estraneità.

In arte pensare che esistano delle regole è sbagliato, importa la coerenza interna di un lavoro. Ci sono tanti film fatti solo con attori napoletani che sono veramente, non solo brutti, ma in cui gli attori fanno una pessima figura.

Il suo prossimo lavoro è un documentario dedicato alla figura di Massimo Troisi.

È stata una proposta di Indiana Production e di Anna Pavignano con Mauro Berardi, il produttore di Troisi. Loro all’inizio pensavano a un film narrativo, che però sarebbe stato difficile per me perché non saprei mettere in scena Massimo senza di lui. A proposito di presenze femminili, nei suoi film ho sempre sentito che c’era un elemento di dialettica con il femminile. E quando ho conosciuto Anna Pavignano, che ho incontrato per la prima volta in questa occasione, ho capito. Il confronto col femminile è uno dei temi affascinanti in Massimo: Ricomincio da tre è un film in cui un maschio napoletano finisce per accettare di essere il padre di un bambino che non è suo.

Cristiana Paternò
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