Filippo Scotti: “La mia anima fragile in ‘Io e Spotty’, e ora penso all’estero”

L'attore di "È stata la mano di Dio" è protagonista dell'opera seconda di Cosimo Gomez, in concorso a Taormina


TAORMINA – Matteo (Filippo Scotti) comunica col mondo attraverso i suoi cartoon e quando è solo in casa si nasconde in un costume da cane, anzi diventa il cane Spotty. Eva (Michela De Rossi) non regge la pressione delle aspettative della mamma (Paola Minaccioni) ed esplode in attacchi di panico quando deve confrontarsi coi suoi doveri di studentessa universitaria. Matteo ed Eva sono i protagonisti di Io e Spotty, secondo film di Cosimo Gomez dopo Brutti e cattivi e primo italiano in concorso al Taormina Film Fest. Una “commedia romantica della porta accanto”, come la definisce il regista, ma anche un racconto sulle diverse diversità di due ragazzi che tocca il tema – serissimo – del disturbo schizoide della personalità, e che è stato ispirato dal documentario inglese The Secret Life of Human Pups. Matteo, che per lavoro dà vita alle divertenti schermaglie tra un fiore e un calabrone in una società di animazione per bambini, decide di chiamare Eva come dog sitter affinché si prenda cura di Spotty: il loro bizzarro incontro produrrà prima spavento, poi una comprensione profonda. Scotti, lanciato alla ribalta mondiale dal ruolo di protagonista in È stata la mano di Dio, ha girato questo film – prodotto da Mompracem con Rai Cinema, in sala dal 7 luglio – subito dopo quello di Sorrentino, ma prima che venisse rivelato al pubblico.

Cosa ha pensato quando ha letto questa sceneggiatura così particolare, per cui doveva far finta di essere un cane per la maggior parte del tempo?
Ci ho trovato qualcosa di nuovo, di particolare, di rischioso nel senso positivo del termine. Mi sono subito sentito vicino alla condizione di Matteo e a quella di Eva, anche pensando a conoscenti e a storie sentite in giro. So che ci sono tantissime anime fragili in giro, siamo tutti un po’ delle anime fragili, e mi piaceva l’idea di raccontare l’incontro tra queste due persone che si sostengono a vicenda. Matteo non ha digerito il trauma della perdita della mamma e la sua reazione si materializza in Spotty.

C’era davvero sempre lei dentro il costume da cane?
Per la maggior parte del tempo ero io, ma nelle scene più atletiche c’era uno stuntman. Non c’è stato tempo per prepararmi abbastanza e recitare con quel costume era piuttosto faticoso.

Pensa che Fabietto e Matteo abbiano delle affinità elettive? C’è un dettaglio che li accomuna: entrambi vanno sempre in giro con le cuffiette per la musica appese al collo.
Non ci ho pensato molto, in realtà, anche perché su È stata la mano di Dio c’è stato un lavoro completamente diverso. Quando mi è arrivato il provino per Io e Spotty mi sono sentito non dico simile a Matteo, perché sono una persona decisamente diversa, ma ho creduto di capirlo. L’idea di affrontare il dolore attraverso il costume da cane mi ha fatto tanto pensare. Non credo che i due personaggi, seppure simili per una certa solitudine e un fare introverso, siano vicini a livello di intenzione e di pensiero, anzi su quello sono agli opposti.

E ora cosa cerca per continuare il suo percorso?
Cerco storie che riescano a toccarmi nel profondo. Ne leggo tante bellissime, ma molte non le sento vicine a me. Il successo di È stata la mano di Dio mi ha fatto un enorme piacere, mi ha reso molto fiero, ma non posso pensare di lavorare sempre in un certo modo, mi aspetto di scoprire cose nuove, di relazionarmi con persone diverse su set diversi, perché credo sia una fonte importantissima di apprendimento. Non cerco di lavorare il più possibile, ma di trovare storie che mi colpiscano davvero.

Dopo l’exploit avrà ricevuto tante proposte anche dall’estero, cosa bolle in pentola?
Sto cercando in effetti di proiettarmi il più possibile all’estero, ci sono cose in cantiere di cui ancora non posso parlare. Mi piace tantissimo l’idea di recitare fuori dall’Italia, di lavorare sul mio inglese e sul mio francese: sono cose che faccio per me, per strutturarmi il più possibile come attore. Ho 22 anni, ho avuto una possibilità meravigliosa, incredibile, ma sono sempre quello di prima di È stata la mano di Dio.

Se dovesse scegliere un regista internazionale con cui lavorare, che nome farebbe?
Ora direi senza dubbio Yorgos Lanthimos, ma anche Xavier Dolan e i fratelli Dardenne. Ma la lista potrebbe essere lunghissima.

Michela Greco
29 Giugno 2022

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