La street artist Laika: “Nei poster il mio urlo contro razzismi e ingiustizie”

Il documentario "Life is (Not) a Game" sul lavoro politico-artistico della "Banksy italiana" è stato presentato nella sezione FreeStyle


“Continuando a rimanere in silenzio, si diventa complici. Anche un poster può fare la sua parte”. Spinta da questa convinzione, la street artist romana Laika ha iniziato alcuni anni fa quello che lei definisce un lavoro da “attacchina”, ma che il mondo interpreta – giustamente – come una battaglia di civiltà attraverso l’arte sui muri. Alla Festa del Cinema di Roma, nella sezione FreeStyle, Laika arriva con il documentario Life Is (Not) a Game, esordio di Antonio Valerio Spera, che l’ha seguita negli ultimi due anni segnati dalla pandemia per raccontare l’avventura dei suoi blitz artistico-politici notturni, le trasformazioni di una società e un viaggio in Bosnia per dare voce ai migranti che percorrono la rotta balcanica.

Coperta dall’anonimato grazie a una tuta da lavoro, una maschera bianca, una parrucca arancione e la voce modificata dal distorsore, la “Banksy italiana” ha detto la sua con arguzia, ironia e – spesso – irriverenza sulle questioni più calde dell’attualità, finendo frequentemente sui giornali di tutto il mondo. Ha tratteggiato un tenero abbraccio tra Giulio Regeni e Patrick Zaki e ritratto Sonia, la famosa ristoratrice cinese dell’Esquilino, che esclama “C’è in giro un’epidemia di ignoranza, dobbiamo proteggerci!”. Ha disegnato Jozsef Szajer che rivendica “I Am What I Am” dopo l’uscita della notizia che l’eurodeputato ungherese del partito di Orban aveva partecipato a un’orgia gay, e ha fatto il suo primo murale, dipinto su un muro per restarci, in ricordo di Soumaila Sacko, ucciso vicino alla tendopoli di San Ferdinando in Calabria, per denunciare le condizioni di lavoro dei braccianti agricoli. Nel film la si vede anche fare una sorta di pellegrinaggio in monopattino davanti ai luoghi a lungo rimasti chiusi per la pandemia: cinema, teatri, palestre, ristoranti. Il documentario, prodotto da Morel Film con Salon Indien Films, sarà distribuito a gennaio 2023 da Kimera Film e Morel

Laika, come è nato il documentario?
Me l’ha proposto Antonio e io ho subito pensato: ‘Ecco qualcuno più matto di me’. Era il primo periodo in cui i miei poster diventavano virali e finivano sulla stampa, più di due anni fa, in epoca pre-pandemia. Ora non so più dire se la pandemia sia arrivata col film o viceversa. In un primo momento ero titubante, mi sembrava complicato seguire i blitz mantenendo l’anonimato con una troupe sempre con me. Pensavo ‘che ansia’, poi ho detto ‘facciamolo’, ed è stata una sfida e una possibilità, anche perché i miei poster durano quasi sempre pochissimo, visto che vengono rimossi dalle istituzioni o strappati, per qualche motivo, dalle persone. Ora rimarranno anche con il film, oltre che coi social: è un’occasione per diffondere ulteriormente i miei messaggi.

Il lavoro sul campo poi com’è andato con tutti questi ostacoli, incluso il lockdown?
La troupe è riuscita a carpire l’essenza del mio personaggio e la mia attività. Avevo l’ansia per loro perché doveva necessariamente essere ‘buona la prima’, non potevo certo ripetere i blitz. Loro sono sempre stati prontissimi e presto ho dimenticato di avere sempre intorno una telecamera.

Mentre cresceva la popolarità delle sue opere, il mondo precipitava in una deriva sempre più tragica…
È vero. Io spero sempre di lavorare meno, perché vorrebbe dire che le cose vanno meglio, ma temo che invece lavorerò sempre di più. Grazie al film ho avuto la possibilità di vedermi dall’esterno e di capire alcuni aspetti della mia attività artistica.

C’è una delle sue opere di cui è più orgogliosa, magari per l’impatto che ha avuto?
Sono legata al lavoro di Wall of Shame, con le frasi di odio prese dai social e messe tutte insieme: è stata una performance molto arrabbiata, il mio urlo contro il razzismo e la xenofobia. Poi c’è il poster sul politico ungherese sorpreso in un’orgia, che racconta l’essenza del mio lavoro a 360°: le mie dichiarazioni sono impegnate ma anche ironiche. Quella vicenda ha messo in discussione un castello di omofobia.

Michela Greco
17 Ottobre 2022

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