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PESARO. All’origine del nuovissimo cinema cileno (2003/2013), insieme a Fernando Lavanderos (Y las  vacas vuelan) e Sebastián Lelio (La sagrada familia), c’è Matías Bize con Sábado, un graffiante e ironico piccolo film autoprodotto, costato solo 30 euro, girato in un unico piano sequenza di poco più di un’ora e realizzato con una videocamera avuta in prestito. Nella casa di Blanca, il giorno delle nozze con il fidanzato Victor, irrompe all’improvviso una giovane arrabbiata e aggressiva che le rivela di essere incinta del futuro marito. Con sé ha portato il vicino di casa che riprende quanto avviene o meglio la scena che noi vediamo è la stessa che sta girando l’improvvisato regista. “Non mi ha ancora pagato, voglio fare il cinema”, dice lui con una battuta fulminante e per 150 dollari viene ingaggiato dalla furiosa sposa tradita che, in abito nuziale, si precipita a sua volta nella casa di Victor in cerca di spiegazioni.
Sorpreso sotto la doccia il ‘mentiroso’ Victor, nudo come un verme implora perdono inseguendo Blanca per le strade del quartiere, entrambi sempre pedinati dalla videocamera del regista dilettante. Il film in tempo reale, come annunciato nelle prime inquadrature, registra gli stati d’animo e le telefonate della protagonista, nonché la visita agli amici più cari e il fallito approccio amoroso con l’amico del cuore.
Finché sconsolata e stremata da una giornata impossibile alla domanda dell’operatore “continuo a registrare o spengo”, Blanca risponde subito “spegni pure”. Finale dunque sul nero.

“Ho lavorato con una compagnia teatrale per sei mesi, e la cosiddetta prima è diventata il set del film. Durante le prove ho lasciato liberi gli attori di sperimentare le loro situazioni - racconta Bize - li ho diretti in modo contradditorio per confonderli e metterli in una posizione scomoda. Anche Gabriel operatore e direttore della fotografia si è comportato come fosse un interprete”.
Non ci sono risvolti autobiografici chiarisce l’autore, che nel 2010 ha portato ai Venice Days La vida de los peces. Più che il plot interessava a Bize come narrare e sviluppare una storia. “L’unica parola che ho detto sul set è stata ‘azione’. Poi una corsa continua in bicicletta e con il cellulare per avvisare le varie location che gli interpreti stavano arrivando. Per non parlare dello stress che mi procurava sapere che dovevamo stare nella durata, un’ora, del nastro a disposizione”.

Sábado bene rappresenta e incarna un’idea di cinema allora insegnata agli allievi dell’Escuela de Cine de Chile da Carlos Flores, uno dei fondatori. Come ricorda il critico e sceneggiatore Gonzalo Maza, il principio didattico era che il cinema nasce da un atto di libertà, seguito poi da un atto di riflessione. Prima girare, continuare a girare, perché c’è questa energia e voglia di farlo. Poi, a posteriori, il montaggio, inteso come costruzione  del film a partire dalle decisioni sul girato.
Anche La sagrada familia (2005), macchina a mano e tanta improvvisazione degli attori, si collega a quella stagione creativa, ma il regista Sebastián Lelio ammette di avere guardato a Teorema di Pier Paolo Pasolini per la strategia narrativa. “Un piccolo e chiuso sistema familiare è infettato da un virus, il quale a sua volta viene contaminato”, spiega Lelio.
E a rompere l’equilibrio di una famiglia di architetti, durante le vacanze di Pasqua nella casa sull’oceano, giunge Sofia. E’ la prima fidanzata ufficiale del loro figlio Marco, peraltro in conflitto con il padre, e con la sua carica sensuale spezza rapporti codificati e modifica comportamenti. In Navidad (2009), sempre di Lelio, di nuovo un estraneo, questa volta un’adolescente in fuga dalla madre e in cerca di un padre assente, fa la sua improvvisa comparsa nella vita di due giovani studenti, Alejandro e Aurora, che stanno trascorrendo il Natale nella casa di campagna della famiglia di Aurora. La nuova venuta, Alicia, spinge ognuno a sciogliere tensioni latenti e a ridefinire identità sospese.

Navidad è un film sugli orfani: il padre di Aurora è morto, quello di Alejandro è rifiutato perché autoritario e quello di Alicia manca all’appello. Un’opera in sintonia con la prima generazione nata con la democrazia cilena e che oggi manifesta per le strade. Il contatto con la generazione pre dittatura avviene attraverso la musica degli anni ‘70”. Ecco spiegata quella raccolta di vinile, dai Rolling Stones a Victor Jara, che Aurora cerca con insistenza tra i ricordi lasciati dal padre. Insomma orfani ma non del tutto, perché hanno ricevuto in eredità un patrimonio da usare e rinnovare, come conclude il regista Lelio.

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PESARO 2013

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