Virzì: “Il viaggio di Marco Cavallo ha ispirato anche me”

Il documentario di Erika Rossi e Giuseppe Tedeschi racconta il viaggio del cavallo blu di cartapesta, simbolo della rivoluzione di Basaglia, e oggi della richiesta di chiudere gli OPG


TORINO – La notizia la dà a sorpresa Paolo Virzì: “Il mio prossimo lavoro, sul set a primavera, racconterà anche di disagio mentale, forse attraverso una storia d’amore, ma non è giusto parlarne ora, farebbe ombra a questo bel film di Erika Rossi e Giuseppe Tedeschi”. Il documentario di cui parla il guest director è Il viaggio di Marco Cavallo, un docufilm dove davvero i diritti si sono trasformati in “rovesci”. 

A quasi quarant’anni dalla Legge Basaglia e dalla chiusura dei manicomi (1978) in Italia ci sono ancora poco meno di mille persone rinchiuse senza la certezza della pena o della diagnosi nei sei OPG, gli ospedali psichiatrici giudiziari. In base al Codice Rocco, che data al 1930, chi ha commesso un crimine ed è stato riconosciuto incapace di intendere e di volere e dichiarato pericoloso, finisce infatti in questi manicomi, da cui non si sa quando potrà uscire, dove viene sedato e spesso legato se rifiuta i farmaci. Una barbarie inimmaginabile (di cui ha parlato di recente anche un altro documentario, Lo Stato della follia di Francesco Cordio). Gli OPG dovevano essere chiusi già dal 2010, dopo i sopralluoghi della Commissione parlamentare d’inchiesta guidata da Ignazio Marino, che ne mise in luce lo stato di abbandono e di incuria. Lo stesso presidente Giorgio Napolitano li ha definiti “luoghi orribili, indegni di un paese civile”. Ma l’attuazione della definitiva chiusura è stata soggetta già a due proroghe.  

Per sollecitare una soluzione sempre più urgente da Trieste di nuovo è partito il grande cavallo blu di cartapesta che fu simbolo della rivoluzione di Basaglia negli anni ’70 (rievocata nelle immagini d’archivio) e che ora è guidato da un erede dell’antipsichiatria come Peppe Dell’Acqua, che era presente anche a quella prima sortita, quando fu necessario abbattere il muro del manicomio per far passare l’animale su ruote che era troppo alto.

Marco Cavallo – così lo chiamarono i ricoverati – si è mosso dunque da Trieste, insieme a StopOPG e con una medaglia del Presidente della Repubblica e ha attraversato l’Italia in un viaggio di oltre 4.000 km in 16 città (tra cui le 6 sedi di OPG, da Barcellona Pozzo di Gotto a Castiglione delle Stiviere) per chiedere la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, dire no ai mini OPG o manicomi regionali e chiedere l’apertura di Centri di Salute Mentale h24.

Il film, prodotto dalle Edizioni alphabeta Verlag di Merano con il contributo della Siae, testimonia di questo percorso civile e umano senza insistere sugli aspetti più angoscianti ma con uno spirito di festa e di liberazione. “Durante il viaggio – dice il produttore Aldo Mazza – siamo stati accolti da centinaia di persone, abbiamo incontrato internati, studenti, operatori, volontari e cittadini che hanno manifestato con StopOPG il loro dissenso chiedendo la chiusura di queste strutture”. Per Virzì è assurdo “considerare il malato di mente come un corpo infetto che ha lo stigma della pericolosità sociale. La natura umana è fragile e la differenza tra sano e insano è labile, ognuno di noi potrebbe sperimentare una vicenda di questo tipo ed è troppo comodo rinchiudere il cosiddetto insano in una gabbia”. E se Erika Rossi, già autrice nel 2012 di Trieste racconta Basaglia, vincitore del Trieste Film Festival, ritiene che il viaggio e il film “siano stati fondamentali per arrivare alla legge del 28 maggio che mette un limite temporale alla misura di sicurezza”, Virzì ricorda che la questione dei diritti “riguarda anche i reparti di salute mentale negli ospedali e non solo gli OPG” e aggiunge: “Ogni mio personaggio è una maniera di avvicinarsi al romanzo della vita delle persone, per me è stata importante la lettura di Jung e della teoria dei tipi psicologici”. E poi si chiede: “Che farmaci prendete per dormire? Menate vostra moglie? Cosa dite in mezzo al traffico? Non c’è una divisione così netta e nessuno si può prendere il diritto di gestire la vita di chi è insano di mente, anche se le nostre società hanno sempre cercato di escludere queste persone”. 

Cristiana Paternò
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