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BERLINO – Sono "gli eroi contemporanei, gli ultimi dei mohicani, i samurai che lottano contro l'occidente omologante e vanno verso un futuro incerto per continuare la storia". Sono I cavalieri della laguna secondo la descrizione, un pizzico enfatica, del regista Walter Bencini, che ha ritratto nella loro quotidianità questi 58 pescatori di Orbetello e li ha portati alla Berlinale nella sezione Culinary Cinema, dopo che qualche giorno fa Jonathan Nossiter aveva raccontato i quattro viticoltori italiani che ripropongono i metodi antichi.

Bencini – regista "di fiducia" di Slow Food e autore di altri documentari a tema alimentare – invece ha puntato l'attenzione sulla laguna toscana, da anni sinonimo di qualità e recentemente oasi di produzione sostenibile, e ha tratteggiato una sorta di manifesto della pesca di eccellenza e delle tradizioni virtuose. "Che – spiega il regista – nonostante possano sembrare insignificanti di fronte ai grandi numeri delle multinazionali, sono l'unica via d'uscita dalla crisi grazie al ritorno al passato e al ritrovamento di un rapporto armonico con la natura". I 58 cavalieri della pesca ritratti nel film, riuniti nella Cooperativa La Peschereccia, gestiscono un laboratorio per la lavorazione, uno spaccio e un mercato del pesce, allevano avanotti di spigola e orata per il ripopolamento, producono bottarga, filetti affumicati di cefalo e anguilla e, la sera, servono il tutto nel loro ristorante affacciato sulla laguna e ricavato nelle vecchie scuderie dell'ottocentesca fortezza spagnola. "Cinquantamila persone l'anno mangiano nel nostro centro di degustazione", dicono fieri i pescatori della "delegazione berlinese": Sergio Amenta, "il Topo", ex buttafuori e capo della ciurma; Marco Giudici, l'isolazionista detto "Nocetta" e Francesco Mengoni, il moltiplicatore di pesci detto "Gesù". Per una fortunata coincidenza, nella capitale tedesca hanno incontrato Ken Loach, il "regista operaio" britannico, che si è congratulato per la loro attività e si è fatto fotografare con loro.

Nel film, i "cavalieri" si mostrano per come sono: "Spiriti liberi che per vivere guardano il cielo e ascoltano il vento – dicono - perché dopo il temporale c'è speranza di una bella pescata. Dobbiamo sempre combattere con l'incertezza e con gli imprevisti climatici: ad esempio nel 2012 un'alluvione ha stravolto l'habitat e vanificato un lavoro di ripopolamento di avanotti che durava da 5 anni, creando problemi a 110 famiglie". Ma nessuno di loro, giurano, ha intenzione di mollare un lavoro fatto di gesti antichi e sempre emozionanti, "Perché è un momento critico ed è necessario raccontare queste esperienze che si oppongono ai modelli inquinanti delle multinazionali, che producono quantità esorbitanti di rifiuti e gas nocivi. Fortunatamente negli ultimi anni abbiamo avuto il fondamentale supporto di Slow Food, che ci ha permesso di rimanere a galla". E, rivendicano, "il nostro pesce non è un prodotto, ma storia, cultura, anima". D'altronde lo si vede bene tra le immagini del documentario, che dimostrano come questa comunità galleggiante sia una sorta di ecosistema a sé stante, con le sue regole, le sue debolezze, le piccole rivalità.

Stasera, per sugellare l'approdo dei pescatori alla Berlinale, la struttura di Markthalle Neun ospiterà una cena con crostini alla ricotta con erbe mediterranee per antipasto, seguita da un'insalatina di carciofi e bottarga (e carpaccio di pesce affumicato di Orbetello), una zuppa di pesce e, infine, il tipico castagnaccio toscano.

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