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COURMAYEUR - Tre settimane e mezzo di riprese, oltre sei mesi di post-produzione, 150mila euro di budget e una sola attrice in scena in un unico luogo, per il tempo reale della durata della storia: 81 minuti. Ricorda audaci esperimenti narrativi come Buried e Locke, l'opera prima di Giacomo Lesina In the box, il film italiano in concorso al Noir in Festival prodotto da Massimo Spano per Michelangelo Film e in sala tra febbraio e marzo con Istituto Luce Cinecittà.

La assoluta protagonista è Antonia Liskova, una ragazza che si risveglia rinchiusa in un garage, dove è costretta a inalare il gas di scarico che, nell'arco di poco più di un'ora la ucciderà. A meno che non riesca sfuggire alla trappola dell'uomo che l'ha catturata, e che la costringe a un gioco al massacro – fisico e psicologico – usando contro di lei tutte le informazioni che ha sulla sua vita. "La fisicità di Antonia è stata determinante – ha spiegato il regista – Ha dovuto girare per molte ore di seguito, sottoposta ai fumi del gas che le bruciavano gli occhi e costretta a sporcarsi e ferirsi. Non ha avuto paura di farlo e ha dato grande spessore al personaggio". Per l'attrice la sfida è stata "comunicare tutte le emozioni possibili: la disperazione, la rabbia, la tristezza. E fare tutto ciò in inglese". Il film, infatti, è stato già venduto in 25 paesi, tra cui gli Stati Uniti e molti stati dell'Est asiatico.

"Il mio compito – aggiunge Liskova - era cercare di capire e trasmettere cosa si provi a sapere di essere costantemente osservati mentre non si saprà che sarà di te tra pochi minuti. La cosa più devastante che si possa affrontare è l'incertezza". Per l'ambientazione claustrofobica, invece, Lesina racconta di non aver voluto vedere le opere più recenti come Buried, ma di aver avuto come riferimento importante Nodo alla gola di Hitchcock e, per altri versi, Shining e i racconti di Edgar Allan Poe. "Inoltre ho pensato di provocare il senso di paura tramite oggetti della quotidianità: una macchina, del fumo e un telefono, che può essere allo stesso tempo strumento di salvezza e di minaccia". E non solo, perché In the box affronta di petto anche temi sociali: "La famiglia è la prima culla della violenza sui minori – commenta il regista – ma si tende a non dirlo, a non rappresentarlo. Invece il mio film parla anche di quanto i bambini siano condizionati dalle scelte dei genitori e di una società civile che sta implodendo".

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