Dal Taxi di Jafar la rivincita dell’arte perseguitata

L'Orso d'oro della 65esima Berlinale va al terzo film realizzato in cattività dal regista iraniano, un film manifesto sulla libertà di fare cinema e contro le prescrizioni


BERLINO – Con Offside, il film censuratissimo in patria sulle tifose a cui lo stadio è proibito e che si vestono da uomini nella speranza di passare i controlli, vinse qui il Gran Premio della Giuria nel 2006. Con Closed Curtain, il secondo film realizzato dopo la condanna e l’interdizione a girare, vinse di nuovo, stavolta l’Orso d’argento per la migliore sceneggiatura nel 2013. E adesso è oro con Taxi, film manifesto dove l’indomabile Jafar Panahi sale alla guida di un’auto pubblica per raccontare, con ironia, il suo paese ma anche la sua arte che continua a esercitare in cattività. E c’è ancora una volta una sedia vuota, alla Berlinale. La sedia che Panahi non può occupare perché è senza passaporto e gli è vietato anche rilasciare interviste. Al suo posto, a salire sul palco, accolta da Dieter Kosslick, c’è sua nipote, giovanissima protagonista del film. Lei è uno dei tanti passeggeri che salgono sul taxi e intavola con lo zio, che è andato a prenderla a scuola, una discussione su cosa è lecito mostrare in un film – sta girando il suo primo corto sotto la guida della professoressa – senza incappare nella colpa di “sordido realismo” e in tanti altri tabù imposti dal regime. Ma stasera la giovanissima cineasta, poco più che una bambina, non è riuscita a dire neanche una parola, travolta dalle lacrime. Ed è stato il presidente della giuria Darren Aronofsky a parlare: “Privare un artista della propria arte è privarlo della vita”. 

Un premio politico, certo. E molti avrebbero preferito che l’Orso d’oro della 65esima Berlinale andasse a El Club di Pablo Larrain, che invece ha ottenuto il secondo premio, il Grand Jury Prize. “Siamo un festival politico?”, si era chiesto in apertura di serata il direttore Kosslick. “Nel mondo succedono tante cose e i film non possono che riflettere quello che succede. Guerre, profughi… Tutto, automaticamente, è politico”. Ed è un film molto politico anche El club, che secondo Aronofsky diventerà un classico. Un film che fa discutere e scuote le coscienze, perché mette in scena una piccola comunità di preti allontanati dal sacerdozio per le loro colpe, la pedofilia soprattutto. Ma sono ben lungi dal fare penitenza, come la Chiesa vorrebbe. Finché un giorno, in quella squallida località di mare dove il sole sembra non splendere mai, arriva un ragazzo sbandato, vittima di abusi sessuali, che inizia a urlare sotto le loro finestre e vagare attorno alla casa. Per il cileno Larrain, autore di film molto amati come Tony Manero, Post mortem e No, la denuncia si sovrappone qui a una ricerca stilistica e alla consapevolezza di affrontare un tema cruciale per la Chiesa cattolica. Tanto da aver dichiarato qui a Berlino: “Per Papa Francesco questa è un’opportunità storica, togliere dall’ombra vicende che andrebbero affidate alla giustizia civile”. E ritirando il premio stasera ha usato parole anche più dure: “Molte persone sono uccise o soffrono in nome di Dio e si spera che un giorno questo possa finire”. E’ cileno anche Patricio Guzman, Orso argento per la sceneggiatura del documentario El boton de nacar, che parla dell’oceano e della memoria dell’acqua per parlare dei desaparecidos, tema che perseguita da sempre il regista e scrittore, che è stato egli stesso vittima della dittatura di Pinochet. Lo vedremo anche in Italia grazie a Biografilm Unipol Collection. 

Bello l’Orso per l’interpretazione che va, meritatamente, ai due straordinari interpreti dell’intenso 45 Years di Andrew HaighCharlotte Rampling e Tom Courtenay sono una coppia avanti negli anni che si trova all’improvviso a confrontarsi con un evento, nel passato di lui, che modifica radicalmente la loro storia. Alla vigilia della festa del 45° anniversario di matrimonio, niente sarà più come prima. L’attrice di Portiere di notte ha ricordato un episodio personale, suo padre Godfrey partecipò alle Olimpiadi di Berlino nel 1936 e vinse un oro. “Sono molto competitiva e fin da bambina volevo raggiungerlo, ora ce l’ho fatta”. Ma anche Tom Courtenay ha scherzato sul passato: “Mi ci sono voluti decenni per raggiungere Albert Finney e vincere a Berlino”.

Giuria unanime (“siamo diventati amici per la pelle”, ha scherzato Aronofsky) e ben due premi ex aequo ma solo “per l’altissimo livello del concorso e non per disaccordi”. Sono due infatti gli Orsi d’argento alla regia per Aferim! di Radu Jude (Romania) e Body di Malgorzata Szumowska (Polonia) e sono due anche i premi per il contributo artistico ai direttori della fotografia del tedesco Victoria di Sebastian Schipper e del russo Under Electric Clouds di Alexey German jr. Alfred Bauer Prize al film che apre nuove prospettiva al guatemalteco Ixcanul di Jayro Bustamante, accompagnato sul palco dalle due attrici maya. Miglior opera prima ancora all’America Latina con 600 Millas del messicano Gabriel Ripstein, figlio d’arte. Nessun premio per il molto apprezzato Vergine giurata di Laura Bispuri. Ma l’Italia non torna a casa a mani completamente vuote. C’è il prestigioso Fipresci allo splendido lavoro sulle immagini e sul tempo e sul prendere vita di un’opera d’arte realizzato da Francesco Clerici in Il gesto delle mani, miglior film del Forum secondo i critici. 

Cristiana Paternò
14 Febbraio 2015

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