Wajda, un artista contro lo stalinismo

Il nuovo film del grande autore polacco, sul set a giugno, sarà dedicato a Władysław Strzeminski, pittore costruttivista morto di stenti nel 1952 a causa dell'ostracismo del regime socialista


BARI – A quasi novant’anni – è nato infatti il 6 marzo del 1926 – Andrzej Wajda ha ancora la voglia e l’energia per mettersi in gioco con il cinema. Un cinema profondamente politico che non dà tregua ai fantasmi dello stalinismo. “A giugno a Lodz dovrei iniziare le riprese di un nuovo progetto, un film sugli anni ’50 e sulla presa del potere comunista in Polonia attraverso la storia di un grandissimo artista polacco che morì dimenticato, per strada, Władysław Strzeminski”. Strzeminski nato nel 1893 a Minsk e morto nel 1952 appunto a Lodz, è considerato uno dei pionieri del costruttivismo, attivo all’interno dell’avanguardia degli anni ’20 e ’30. Nel 1950 venne cacciato dall’Università d’Arte di Lodz per non essersi conformato alla dottrina del socialismo reale e divenne vittima del regime che gli impedì di continuare a dedicarsi alla sua arte, infine morì d’inedia nel 1952. Per Wajda: “Strzemiński è uno degli artisti che più soffrirono durante il regime socialista. E’ stato un grande pittore, molto originale, purtroppo sconosciuto fuori dai confini della Polonia. Lo avevo avuto come insegnante alla scuola di cinema”. Esclude invece di voler affrontare la figura di Karol Wojtyla. “Krzysztof Zanussi sarebbe molto più adatto di me a parlare di Giovanni Paolo II. Nei miei film, ad esempio ne L’uomo di ferro o in Walesa Uomo di speranza, ho toccato aspetti della Chiesa cattolica polacca, ma in modo tangenziale”.

Al Bif&st Wajda è stato protagonista di una lunga ed estremamente interessante lezione di cinema a partire dalla proiezione di Katyn, il suo film sull’eccidio avvenuto nel 1940. Suo padre, Jakub Wajda, capitano di fanteria, morì in quel massacro insieme ad altri 22mila ufficiali e civili. Sua madre continuò ad aspettarlo fino alla fine dei suoi giorni. Questa dolorosa esperienza, una delle pagine oscure della seconda guerra mondiale, usata come strumento di propaganda da nazisti e sovietici, è divenuta un’opera che l’Academy ha inserito nella cinquina del miglior film straniero. Quella strage per decenni fu attribuita ai tedeschi, anche perché i sovietici avevano usato pallottole tedesche, che la Germania aveva dato alla Russia in tempi in cui i rapporti tra le due potenze erano buoni, grazie al patto Molotov-Ribbentrop. “Ho fatto questo film – ha spiegato il grande regista durante l’incontro coordinato dalla critica polacca Grazyna Torbicka – non solo perché lì morì mio padre, ma perché mi è sempre rimasto dentro il ricordo di quando, da ragazzo, assistevo alla disperata e inutile ricerca di mia madre. Mio padre fu vittima di Katyn, mia madre fu vittima del segreto custodito dai sovietici. Il film vuole essere un omaggio a quelle donne, ferite profondamente, sole ma coraggiose”.

Una pagina di storia polacca che al cineasta, Palma d’oro a Cannes per L’uomo di ferro (1981), suscita tante domande. “Perché ucciderli e non invece catturarli e scambiarli con altri prigionieri? Perché questo eccidio non ha, ancora oggi, alcun riflesso nella letteratura polacca?”. Per Wajda Katyn è anche l’ultimo film della scuola polacca di cinema, che ha trovato nel neorealismo un esempio irraggiungibile. “Aspettavamo questi film dall’Italia perché erano diversi dal cinema che avevamo visto, erano film sinceri, veri, personali”, confessa. E ancora su Katyn: “Il film dura due ore perché la vicenda richiede tempo per essere capita bene in tutti i suoi aspetti, molti dei quali scoperti attraverso i diari delle donne rimaste sole: nella notte in cui tutte le famiglie degli ufficiali trucidati furono deportate in Kazakhistan affinché non creassero un movimento di ribellione, ci furono anche ufficiali russi che cercarono di opporsi all’ordine di Stalin, dei giusti”.   

Con Generazione (1955), suo debutto cinematografico, in cui mostra l’amarezza e la disillusione riguardo a un cieco patriottismo e agli ‘eroi di guerra’, inizia la sua collaborazione con l’attore Zbigniev Cybulski, con il quale girò altri due film, Kanal-I dannati di Varsavia (1957) e Cenere e diamanti (1958), prima che il James Dean polacco morisse nel 1967 in un incidente automobilistico. Un attore rimasto nel cuore di Wajda per la sua sfrontatezza, ma anche per l’umanità: “Per Generazione Cybulski si rifiutò in modo perentorio di indossare gli abiti di scena che erano previsti e volle recitare con ciò che indossava al momento: occhiali scuri – allora rarissimi in Europa – pantaloni e giacca americani e scarpe da tennis. Non forzandolo a cambiarsi – aggiunge divertito Wajda– capii che potevo essere un buon regista”. Cybulski che è poi diventato un idolo per i teenager polacchi: “Una volta dei giovani hanno disegnato una sua gigantografia, un enorme murales e la cosa si è ripetuta in altre città”. 

Wajda, a cui la Fipresci consegnerà stasera la targa di platino del 90° anniversario, ha ricordato che venne proprio dalla Fipresci il primo premio della sua carriera al Festival di Venezia per Cenere e diamanti. ”Il film non era benvisto da Mosca ed era stato relegato in una sola sala a Varsavia, ma si presentò così tanta gente che si creò un assembramento. Intervenne la polizia e allora, davanti a questo fatto, il Comitato centrale del partito, per evitare una pubblicità negativa, autorizzò che fosse proiettato in più sale, ma scrivendo sui giornali “Proiezione privata” per scoraggiarne la visione, però tutti capirono lo stesso di cosa si trattava e andarono a vederlo. A Venezia il film non era nella selezione ufficiale, veniva proposto in una saletta, ma fu visto dal pianista polacco Arthur Rubinstein, che viveva a Venezia e che invitò a vederlo il regista francese René Clair. Così alla fine fu premiato dai critici”.

E il cineasta spiega come le immagini possano aggirare la censura, sollecitando la nostra immaginazione. “La censura se la prende soprattutto con la parola perché l’ideologia si fonda su questo. Ma il pubblico polacco intuiva i significati politici dietro le immagini senza bisogno di tante spiegazioni”. 

Wajda racconta anche di quando divenne senatore, nei primi anni ’90. “Quando Walesa decise che nel primo governo di Solidarnosc dovevano esserci solo persone note alla gente – ricorda– non potevo dire di no: alle parole dovevano seguire i fatti. Ero andato anche a Danzica per seguire la rivolta e feci il mio primo e unico film su commissione, L’uomo di ferro, perché i lavoratori dei cantieri navali mi chiesero di fare un film su Solidarnosc. La censura mi invitò a tagliare 20 frammenti, ma gli operai di Danzica e Katovice inviarono dei telegrammi al governo chiedendo di ripensarci. E così è stato”.   

A quegli anni di rivolta è dedicato anche il suo ultimo film Walesa-Uomo di speranza, che era in concorso a Venezia nel 2014. “Inizialmente avevamo deciso di utilizzare solo due frammenti dell’intervista che Oriana Fallaci aveva fatto al leader di Solidarnosc, ma poi, visto che Walesa parla meglio quando c’è una donna, perché gli piace fare lo spiritoso, ne abbiamo usati sette e il film deve molto proprio a Oriana e all’attrice che la interpreta, Maria Rosaria Omaggio”. Infine una curiosità: perché ha regalato all’Università Jagelloniana di Cracovia l’Oscar alla carriera. “E’ l’università dove insegnavano tutti i grandi umanisti e proprio in quello stesso museo c’è anche il globo del nostro grande astronomo Copernico. E poi l’Oscar non è isolato, sta con il Leone di Venezia, la Palma di Cannes e l’Orso di Berlino, tutti d’oro”. 

Cristiana Paternò
25 Marzo 2015

Bari 2015

Bari 2015

Cinema & Fiction, tv italiana in cerca di innovazione

Al Bif&st il convegno "Cinema & Fiction: convergenze parallele?", un momento di confronto tra protagonisti del settore per capire quale possa e debba essere il ruolo della fiction in Italia, mentre dagli Stati Uniti arrivano i successi di serie tv che vantano attori da Oscar e ascolti strabilianti.
"Il problema dell'Italia è che non ha un'industria culturale degna", dice il direttore di 8 e 1/2 Gianni Canova, mentre Maurizio Sciarra si rivolge alla committenza e dice "La tv è ferma a 20 anni fa, non innova da decenni", mentre sta per arrivare in Italia il ciclone Netflix. Tra gli altri relatori Silvia Napolitano, Matilde Bernabei, Daniele Cesarano, Veridiana Bixio e Luca Milano per Rai Fiction

Bari 2015

Alba Rohrwacher due volte miglior attrice al Bif&st

Il messaggio dell'attrice: "Ringrazio il bellissimo Festival di Bari per questi riconoscimenti che arrivano a due film molto importanti per me, Hungry Hearts e Vergine giurata. Ringrazio il pubblico numerosissimo del festival. Purtroppo non posso essere con voi perché sono a Lisbona al Festival di Cinema Italiano. Ma sono davvero felice. E voglio ringraziare la Giuria dei Critici del Concorso Ufficiale e la Giuria Popolare delle Opere Prime"

Bari 2015

Bif&st: 2016 con Mastroianni e gli attori

73mila spettatori. Ovvero 2.500 in più rispetto allo scorso anno. La conferenza stampa di bilancio del Bif&st numero 6, guidato come sempre da Felice Laudadio, è la cronaca di un trionfo, ma anche un molto simbolico "passaggio di consegne" all'amministrazione locale futura, a cui il direttore e il presidente Ettore Scola chiedono in coro di confermare la fiducia in un progetto culturale che richiama un pubblico numerosissimo e giovane. Con il governatore Nichi Vendola in scadenza di mandato, resta un margine di incertezza per il futuro, che Laudadio cerca di scongiurare annunciando già non solo le date - dal 2 al 9 aprile 2016 - ma persino il programma del settimo Bif&st, che sarà dedicato a Marcello Mastroianni nel 20° anniversario della sua scomparsa, con una retrospettiva in 50 titoli. Al Teatro Petruzzelli la cerimonia di premiazione presentata da Stefania Rocca. Miglior regista Francesco Munzi, migliori attori Elio Germano, Alba Rohrwacher, Anna Foglietta e Carlo Buccirosso

Bari 2015

Nanni Moretti, superstar a Bari, legge il “Caro Diario”

"Manteniamo il mistero". Basterebbe l'ultima battuta della masterclass (riferita alla genesi di Habemus Papam), per riassumere l'incontro di Nanni Moretti con il pubblico del Bif&st, di cui è stato l'ultimo, attesissimo ospite. Dopo la proiezione di Caro diario, il regista ha letto il diario di lavorazione che scrisse per quel film del 1993: in un Teatro Petruzzelli affollatissimo, il regista ha rievocato quei giorni, per poi rispondere alle domande (o piuttosto ai timidi input) del moderatore Jean Gili. Come prevedibile, neanche una parola è stata dedicata a Mia madre, il nuovo film del regista che sarà in sala dal 16 aprile (e poi probabilmente a Cannes) in cui recita accanto a Margherita Buy e John Turturro. Ripercorrendo la sua carriera, ha detto: "Con gli anni sono diventato più esigente, ora il momento della scrittura è quello più difficile, mentre quello più faticoso e angosciante resta quello delle riprese"


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