L’Everest tra Cinecittà e la Val Senales

Il celebre alpinista Reinhold Messner polemizza sul film che inaugura la 72ma Mostra di Venezia: "E' girato su una pista da sci"


Il famoso alpinista Reinhold Messner polemizza. “Everest è una cartolina. E’ girato su una pista da sci. Quindi che cosa può far vedere della mancanza di ossigeno, dell’alta quota, oltre gli 8.000 metri, della condizione data dal freddo? Niente, sarà un tipico film di Hollywood, dove l’Everest serve come palcoscenico. Non racconta, non può raccontare la realtà. E’ stato girato su una pista da sci, mal che vada a 2.500 metri”. Ci va giù pesante, in un’intervista sul quotidiano La Stampa, l’uomo che per primo ha scalato le 14 vette più alte del mondo senza bombole d’ossigeno. E senza neanche aver visto il film che inaugura la 72ma Mostra di Venezia.

Speriamo che la visione della pellicola, un kolossal da 65 milioni di dollari, lo smentisca, almeno in parte. L’islandese Baltasar Kormákur è un regista sinceramente appassionato a storie estreme di sopravvivenza nel rapporto tra l’uomo e la natura. Basti vedere The Deep (2012) in cui raccontava lo strano caso (vero) di un pescatore sopravvissuto per ore, oltre il limite umano di sopportazione, nelle acque gelide dell’isola di Vestman dopo un naufragio. Anche Everest racconta una storia vera e una storia di sopravvivenza. Nel 1996 la guida alpina Rob Hall decise di portare la sua squadra sulla cima della montagna più alta del mondo. La salita però venne rallentata dai numerosi gruppi di turisti incontrati lungo l’itinerario (la zona è da tempo meta di “visite guidate” dagli sherpa nepalesi al costo di 50mila dollari a escursione). Rob convinse alcuni dei suoi a tornare verso il campo base, ma due di loro, Doug e Beck, non vollero rinunciare e furono travolti da una tempesta improvvisa. Tra le vittime c’era Scott Fisher, che morì a soli 41 anni dopo essere riuscito a mettere in salvo alcuni compagni: Il suo corpo venne ritrovato solo dopo 14 anni e la famiglia non volle portarlo via dalla montagna. A intepretarlo è Jake Gyllenhaal, mentre Michael Kelly è il sopravvissuto Jon Krakauer, autore del libro Aria sottile da cui è tratto il film (Krakauer tra l’altro è autore anche di un altro libro bellissimo, Into the Wild, da cui era tratta la pellicola omonima di Sean Penn). Aria sottile, diventato un best seller, ha innescato anche una polemica con la guida russa Anatoli Bukreev, accusato da Krakauer di comportamento poco professionale per essere rientrato al campo base prima dei suoi clienti e pronto a rispondere a sua volta con un altro libro, The Climb. “Su questa vicenda si è scritto molto – ha spiegato Kormákur a l’Espresso – e sono stati girati anche dei documentari. A me interessava trovare la tensione tra le diverse versioni dei fatti e scegliere una strada, non per stabilire la verità, come in un processo, ma per fare emergere l’umanità dei personaggi e per raccontare cosa accade in una situazione del genere. E perché le persone prendono alcune decisioni piuttosto di altre”.

Ovviamente ha ragione Messner: il film – che ha nel cast, accanto a Gyllenhaal e Kelly anche Jason Clarke, Josh Brolin, John Hawkes, Robin Wright, Sam Worthington, Keira Knightley ed Emily Watson – non è stato girato sull’Everest, a parte alcuni giorni in Nepal. Ma a Cinecittà e in Val Senales. Questo però non vuol dire che la ricostruzione non sia accurata e l’avventura avvincente e angosciante. La piscina di Cinecittà (7000 mq riempiti di migliaia di tonnellate di pietra basaltica, con fondali dipinti) è servita a restituire le montagne del massiccio dell’Himalaya: attraverso i green screen l’illusione scenica si è compiuta. La grande vasca – in passato utilizzata da Martin Scorsese per Gangs of New York – è servita a ricreare il campo base della tragica spedizione. Quindi la troupe si è trasferita in Alto Adige, dove ha avuto il fattivo sostegno (700mila euro di finanziamenti) della BLS – Film Fund & Commission. Qui le riprese si sono svolte prevalentemente sul ghiacciaio della Val Senales, a oltre 3.000 metri di quota. La squadra di lavoro era composta da circa 180 elementi provenienti da tutto il mondo: americani, inglesi, australiani, tedeschi, italiani, islandesi e una sessantina di altoatesini, tra cui esperti della montagna che sapevano come gestire le condizioni climatiche (le temperature sono scese fino a -30° e il pericolo di valanghe non è mancato). Insomma, un’avventura nell’avventura. 

Cristiana Paternò
31 Agosto 2015

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