Gli esuli del terzo millennio

Sono loro i protagonisti dei tre documentari - Esuli-Le guerre, Esuli-Tibet, Esuli-L'ambiente - diretti dalla regista Barbara Cupisti e presentati a Visioni dal mondo nell’Omaggio a Rai Cinema


MILANO. Secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite (UNHCR), alla fine del 2014 più di 59,5 milioni di persone sono state costrette ad abbandonare le proprie case a causa di conflitti, crisi umanitarie, socio-politiche e ambientali. Il 51% di queste persone sono minori di 18 anni di età. Tre quarti di questi rifugiati sono in una situazione di “esilio a lungo termine” senza alcuna prospettiva di ritorno a casa. Questi esuli del terzo millennio sono raccontati dalla regista Barbara Cupisti in un tre documentari presentati a Visioni dal mondo nell’Omaggio a Rai Cinema che li ha prodotti insieme a Clipper Media.
“E’ un progetto che nasce subito come una trilogia perché gli esuli sono un problema talmente enorme, e tante sono le cause dell’esilio, che non poteva esaurirsi in un solo film – spiega l’autrice – Infatti accanto a quelle più conosciute, le guerre e i motivi politici religiosi, la UNHCR ha definito una nuova categoria che sono gli esuli per ragioni ambientali che riguardano sia disastri sia conflitti e che conosceranno entro il 2025 un aumento esponenziale. Così ho proposto da subito a Rai Cinema questi tre ‘capitoli’: Esuli-Le guerre, Esuli-Tibet, Esuli-L’ambiente”.

Nel primo film  l’attenzione è rivolta ai rifugiati provenienti dalle due principali aree di crisi nel mondo: Siria e Somalia. Allo stesso tempo, il documentario è stato girato in Paesi che stanno affrontando una maggiore popolazione di rifugiati: la Turchia, con circa 1,6 milioni di rifugiati residenti, e la Giordania. Il documentario inizia con le immagini e le testimonianze raccolte nel campo profughi più grande al mondo: Dadaab, in una terra desolata al confine tra il Kenya e la Somalia, dove risiedono circa 430mila somali, da oltre 20 anni. Il campo appare come un’immensa baraccopoli in cui la vita scorre scandita dalla distribuzione degli aiuti umanitari, attentati e scorrerie.
Dall’Africa si passa alla guerra in Siria che ha causato la fuga di oltre 4 milioni di persone. Le storie si snodano nel campo di Zaatari, a 12 km dal confine tra Siria e Giordania, e nel campo turco di Ackakale, che dà rifugio a 25mila rifugiati siriani. “Spesso ho utilizzato materiali di scene di guerra, di bombardamenti di città come Aleppo, che i giovani siriani hanno girato anche con i cellulari o che provengono da siti siriani suggeriti tramite link”, dice la Cupisti.
Esuli-Le guerre si conclude con le storie dei profughi palestinesi del 1948. Usciti dal Paese con la convinzione di rientrarvi dopo pochi giorni, si trovano ancora oggi lontani dalla propria terra, con i loro figli e nipoti a cui hanno tramandato lo status di rifugiato.

Esuli-Tibet
è ambientato in India, tra Dharamsala – sede del Governo Tibetano in esilio -e gli altipiani imponenti e spettacolari del Laddak, soprannominato ‘Piccolo Tibet’. Due ex prigionieri politici, oggi 80enni, che hanno passato più di 30 anni nelle carceri cinesi, descrivono l’occupazione del Tibet, che, dal 1959, ha causato più di 100mila rifugiati tibetani. Il documentario prosegue con il racconto della vita quotidiana all’interno dei cosiddetti “villaggi dei bambini tibetani”, attivi da oltre 50 anni con l’obiettivo di educare e formare i bambini e i giovani nati in esilio così come quelli che ogni anno continuano a fuggire dal Tibet.
Tenzin, Lhamo e Khunsang sono giovani attivisti che organizzano dibattiti e dimostrazioni; il monaco Jahang, che ha perso un fratello che si è autoimmolato, racconta la sua fuga dal Tibet dove i diritti umani sono violati e il governo cinese persegue l’annientamento della cultura e della religione tibetana. Il documentario si chiude con un’intervista esclusiva a Sua Santità il Dalai Lama.

Esuli-L’ambiente è dedicato agli esuli da conflitti ambientali e ai profughi ambientali. I primi sono costretti ad abbandonare le proprie case a causa di opere infrastrutturali pubbliche o private e di progetti di sfruttamento delle risorse naturali che sacrificano l’ambiente e i diritti delle popolazioni locali e indigene. È il caso dei Guaranì del Mato Grosso do Sul in Brasile, che hanno visto sottrarsi, nel corso dei secoli, tutto il loro territorio ancestrale. Alcuni gruppi sono rimasti completamente senza terra e vivono accampati ai margini delle strade.
Da qualche tempo però, molte comunità Guaranì stanno cercando di recuperare piccoli lembi della loro antica terra. Questo fenomeno, detto ‘retomada’, è osteggiato fortemente dagli allevatori che assoldano sicari armati pronti a uccidere per difendere le ‘loro’ proprietà. “Avrei voluto raccontare anche il caso Nicaragua dove i cinesi sono in procinto di realizzare un canale che, in concorrenza con quello di Panama, consenta il passaggio delle navi tra i due oceani, sfruttando un grande lago di acqua dolce esistente – afferma l’autrice – Prevedibili le gravi conseguenze distruttive di questo progetto, con questo mix di acqua salata marina, sulla flora, sulla fauna e sulle coltivazioni della zona”.

I profughi ambientali sono invece costretti ad abbandonare le proprie case a causa di fenomeni quali degrado ambientale, depauperamento delle risorse, inquinamento, disastri naturali. Il cambiamento climatico riguarda anche società occidentali altamente sviluppate, come il caso della California. Per il quarto anno, la California sta avendo un record di siccità che genera un drammatico inaridimento del territorio.
Il film ci parla di Donna Johnson, una volontaria che in prima persona ha subito le conseguenze della siccità, ce he ha deciso di aiutare quelle famiglie che si trovano a vivere in case senza più acqua corrente. “I venti minuti del film con protagonista la signora americana sono il risultato di 8 ore di una sola sua giornata, l’abbiamo pedinata con due videocamere che non abbiamo mai spento. Il suo arrivo in macchina all’inizio è quello vero, non è ricostruito”.
Così seguiamo Donna Johnson mentre con il suo pick up distribuisce l’acqua.I protagonisti raccontano di storie drammatiche, di anziani o di intere famiglie che hanno investito tutti i loro beni per costruirsi delle case in cui ora non è più possibile abitare (secondo la legge degli Stati Uniti le abitazioni che non sono più servite dall’acqua corrente devono essere segnate di rosso). Queste persone si trovano di fronte alla reale possibilità di essere sfrattati dalle loro stesse abitazioni e di diventare degli sfollati in America, la nazione più sviluppata del mondo.

Nel lavoro di ricerca la regista si è avvalsa di fonti istituzionali quali l’Ufficio ONU per i Rifugiati, il WFP, l’Amministrazione centrale tibetana di Dharamsala e la Città di Porterville (California) e le ONG locali ed internazionali Action Aid, Survival International, Greenpeace, International Campaing for Tibet, Conselho Indigenista Missionario.
“Vorrei che i tre Esuli fossero visibili non solo su un canale Rai, ma in sale dedicate, nelle università, e nelle scuole. Intanto c’è stata intanto un’anteprima di Esuli-Le guerre a New York a Casa Italia in coincidenza con la donazione di Rai Cinema di 10 film italiani al MoMA”.

Stefano Stefanutto Rosa
14 Dicembre 2015

Visioni dal mondo 2015

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