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BARI - “Non esiste talento senza la sofferenza e la voglia di averne di più. Gian Maria non era mai soddisfatto delle sue interpretazioni, e così rompeva sempre le scatole”. Parola di Gianni Amelio, solo uno dei tanti testimoni della grandezza artistica, umana e politica di Gian Maria Volonté, protagonista al Bif&st di un imponente omaggio in 75 appuntamenti a 20 anni dalla sua morte (il 6 dicembre 1994).

Il suo sguardo magnetico si affaccia su ogni strada del centro di Bari attraverso i manifesti del festival, che nel Teatro Margherita ospita una mostra fotografica con le locandine dei suoi film e gli scatti più significativi di una carriera grandiosa che lo ha visto protagonista per Sergio Leone, Carlo Lizzani, Mario Monicelli, Damiano Damiani, Elio Petri, i fratelli Taviani, Francesco Rosi, Giuliano Montaldo e Marco Bellocchio, ma anche, inaspettatamente, per Carlo Vanzina, con cui girò Tre colonne in cronaca nei panni del direttore di un potente quotidiano (un personaggio vagamente ispirato a Eugenio Scalfari): “Fu un privilegio lavorare con lui – hanno ricordato i Vanzina – nessuno si aspettava che accettasse di fare un nostro film e neanche noi, infatti ne fummo felicissimi. Le persone grandi non hanno pregiudizi”. Di quell'esperienza i fratelli Vanzina ricordano i guizzi attoriali di Volonté - “Aggiunse al personaggio dei tic, una risata da serpente” - e anche l'esito del film: “Andò male e ci fece rinfognare nella commedia, ma a distanza di anni abbiamo saputo che Gian Maria disse che Carlo è uno dei registi con cui si è trovato meglio: un'enorme soddisfazione”. Secondo i fratelli della commedia nazionalopopolare “due attori hanno rappresentato gli italiani: Sordi, che metteva sempre se stesso in ogni personaggio, e Volontè, che invece creava una galleria di personaggi cambiando sempre se stesso. L'unico che oggi gli si avvicina un po' è Servillo, ma ancora non ha fatto altrettanti film”.

Una galleria di personaggi che, come scrive il direttore Laudadio nel catalogo del Bif&st, potrebbe riempire diversi scaffali di una cineteca immaginaria: si va dal settore “Volonté e i banditi”, dai dollari di Leone al Lucky Luciano di Rosi, a “Volonté e gli intellettuali”, in cui si contano ad esempio quello di A ciascuno il suo e Una storia semplice; da “Volonté e i mass media”, che annovera tra le altre l'interpretazione in Sbatti il mostro in prima pagina, a “Volonté e la politica” con Todo Modo e Il caso Mattei; da "Volonté e la legge”, con Porte aperte e Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto fino a “Volonté, la classe operaia e la rivoluzione”, in cui si contano anche titoli come Ogro di Pontecorvo e Quien Sabe? di Damiano Damiani. In quest'ultimo era al fianco di Lou Castel, anch'egli chiamato a raccontare a Bari la sua esperienza accanto al gigante della recitazione. “Era un attore molto generoso, improvvisava anche per gli attori che recitavano con lui, porgeva loro il suo sguardo, come se fosse un secondo regista sul set".

"Lui, come me, aveva una fortissima coscienza politica - ha spiegato Castel - e mi colpì molto quando non andò a ritirare i premi a Cannes nel 1972 (per La classe operaia va in paradiso e Il caso Mattei, NdR) per solidarietà con la mia espulsione dall'Italia per motivi politici”. Gianni Amelio, che lo diresse in Porte aperte, ha ricordato un set difficilissimo - “Si ribellava a ogni piccola variazione. Una volta si mise a urlare dicendo che erano tre mesi che studiava quella scena, per cui aveva inventato un gesto bellissimo, e io non potevo cambiarla!”. Ma, al di là delle tensioni scatenate sul set da un attore che intimidiva tutti con il suo caratteraccio ma poi si commuoveva per i premi, Volonté godeva dell'ammirazione generale. “Ho un rispetto per lui che va al di là di ogni riserva – ha sottolineato infine Amelio - Mi ha tolto spazio, ma mi ha dato molto più di quanto mi abbia tolto”.

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