Rilanciare il cinema italiano all'estero? Sforzi congiunti e continuità
BARI – Paolo
Sorrentino vince l'Oscar con La grande bellezza 15 anni dopo Roberto
Benigni con La vita è bella. Ma cosa è cambiato da allora (almeno negli ultimi due anni) nel nostro
cinema? "Che le esportazioni di film italiani sono dimezzate e
le importazioni raddoppiate. Che la domanda di Made in Italy
dall'estero è cresciuta, ma manca il sostegno economico per
un'offerta adeguata". Sono le sconfortanti premesse di Laura
Delli Colli (presidente del Sngci) del convegno "Mission:
promuovere all'estero il cinema italiano", tenutosi oggi
nell'ambito del Bif&st con gli interventi di Roberto Cicutto, Ad
di Istituto Luce Cinecittà, Riccardo Tozzi, presidente Anica, Giorgio
Gosetti, direttore delle Giornate degli Autori e Franco Montini,
presidente Sncci.
Il punto di partenza, naturalmente, è proprio la statuetta dell'Academy, simbolo del trionfo internazionale del cinema tricolore, mentre l'obiettivo condiviso è "offrire continuità alle iniziative di successo che spesso sperimentiamo in Italia, ma che poi non coltiviamo e lasciamo morire, come accadde ad esempio per il Mifed", dice Cicutto. Oltre che stimolare una proposta unitaria del settore da sottoporre al ministro Franceschini e al Ministero dello Sviluppo Economico, perché agiscano di concerto per favorire l'internazionalizzazione del nostro cinema.
"Tra i problemi principali – nota Tozzi – c'è la scarsità di fondi per la promozione all'estero: sono circa un milione di euro l'anno, niente se paragonati ai 9-10 milioni a disposizione dei francesi. Oltretutto, spesso quegli stanziamenti finiscono in mille rivoli e vengono usati in modo disordinato. È necessario un piano unico da concretizzare con strutture diverse per valorizzare le risorse". Giorgio Gosetti, che sta coordinando un piano triennale di penetrazione del cinema italiano in Cina, sottolinea: "Per portare il nostro cinema in quel mercato immenso abbiamo a disposizione appena 110mila euro l'anno, ma il problema non è solo questo. C'è infatti una mancanza di professionalità da parte di alcuni operatori, se è vero che qualcuno non è disposto a pagare 500 euro per mettere i sottotitoli cinesi, o qualcun altro non può vendere i suoi film all'estero perché non è titolare dei diritti internazionali di alcune canzoni".
Richiamandosi all'importanza, evocata da Gosetti, dei "nuovi mercati" soprattutto orientali, Roberto Cicutto ricorda: "Istituto Luce Cinecittà da anni sostiene il cinema italiano in grandi festival come Pusan e Shanghai, che hanno sempre 8 o 9 nostri film nelle loro selezioni: c'è dietro un lavoro importante fatto nel tempo. Ma – aggiunge – dovremmo cambiare tutto, creare un'agenzia sul modello francese e fare dell'audiovisivo un'istanza condivisa da operatori e pubblico. Ricordiamoci che ogni volta che vengono predisposte misure di sostegno per il cinema, la gente ci vede come parassiti e piagnoni. L'atteggiamento culturale dovrebbe cambiare".
Tra le chiavi di volta c'è poi la questione dei diritti delle "nuove" piattaforme: "Ci sono 100 modi di fruire il cinema – conclude Cicutto – e dovrebbero esserci anche 100 diversi diritti da commercializzare, invece pochi agenti concentrano il controllo di più diritti". Inoltre, come ricorda Franco Montini, non bisogna sottovalutare la questione dei venditori internazionali: "I film italiani più importanti sono affidati alle società straniere: il sistema italiano dovrebbe essere più protetto". Ma questo, gli risponde Gosetti, "succede anche perché i nostri grandi venditori internazionali stanno andando in pensione e non c'è nessuno all'orizzonte per rimpiazzarli. Dovremmo pensare a una formazione in questo senso".
Il presidente dei giornalisti cinematografici intanto, racconta la sua esperienza: "Da 15 anni organizzo una rassegna di cinema italiano in Germania, e quest'anno siamo arrivati a toccare i cinema d'essai di 30 città. Sono le sale che chiedono di partecipare, semplicemente perché i film italiani funzionano". Criticità e buone premesse, insomma, in un momento in cui un (buon) film come Il capitale umano che non ha avuto nemmeno passaggi ai festival è stato appena venduto in 30 paesi. Ma, appunto, grazie a una società francese come la Bac Films. Per il futuro, allora, da dove si parte? Prova a rispondere, in conclusione, Giorgio Gosetti: "Dalla garanzia di un impegno strutturale da parte dei due ministri - , quello dei Beni Culturali e dello Sviluppo Economico -
già impegnati da un protocollo. Dalla auspicabile triennalità di progettazione e da un sostegno pubblico a iniziative di formazione professionale".
Il punto di partenza, naturalmente, è proprio la statuetta dell'Academy, simbolo del trionfo internazionale del cinema tricolore, mentre l'obiettivo condiviso è "offrire continuità alle iniziative di successo che spesso sperimentiamo in Italia, ma che poi non coltiviamo e lasciamo morire, come accadde ad esempio per il Mifed", dice Cicutto. Oltre che stimolare una proposta unitaria del settore da sottoporre al ministro Franceschini e al Ministero dello Sviluppo Economico, perché agiscano di concerto per favorire l'internazionalizzazione del nostro cinema.
"Tra i problemi principali – nota Tozzi – c'è la scarsità di fondi per la promozione all'estero: sono circa un milione di euro l'anno, niente se paragonati ai 9-10 milioni a disposizione dei francesi. Oltretutto, spesso quegli stanziamenti finiscono in mille rivoli e vengono usati in modo disordinato. È necessario un piano unico da concretizzare con strutture diverse per valorizzare le risorse". Giorgio Gosetti, che sta coordinando un piano triennale di penetrazione del cinema italiano in Cina, sottolinea: "Per portare il nostro cinema in quel mercato immenso abbiamo a disposizione appena 110mila euro l'anno, ma il problema non è solo questo. C'è infatti una mancanza di professionalità da parte di alcuni operatori, se è vero che qualcuno non è disposto a pagare 500 euro per mettere i sottotitoli cinesi, o qualcun altro non può vendere i suoi film all'estero perché non è titolare dei diritti internazionali di alcune canzoni".
Richiamandosi all'importanza, evocata da Gosetti, dei "nuovi mercati" soprattutto orientali, Roberto Cicutto ricorda: "Istituto Luce Cinecittà da anni sostiene il cinema italiano in grandi festival come Pusan e Shanghai, che hanno sempre 8 o 9 nostri film nelle loro selezioni: c'è dietro un lavoro importante fatto nel tempo. Ma – aggiunge – dovremmo cambiare tutto, creare un'agenzia sul modello francese e fare dell'audiovisivo un'istanza condivisa da operatori e pubblico. Ricordiamoci che ogni volta che vengono predisposte misure di sostegno per il cinema, la gente ci vede come parassiti e piagnoni. L'atteggiamento culturale dovrebbe cambiare".
Tra le chiavi di volta c'è poi la questione dei diritti delle "nuove" piattaforme: "Ci sono 100 modi di fruire il cinema – conclude Cicutto – e dovrebbero esserci anche 100 diversi diritti da commercializzare, invece pochi agenti concentrano il controllo di più diritti". Inoltre, come ricorda Franco Montini, non bisogna sottovalutare la questione dei venditori internazionali: "I film italiani più importanti sono affidati alle società straniere: il sistema italiano dovrebbe essere più protetto". Ma questo, gli risponde Gosetti, "succede anche perché i nostri grandi venditori internazionali stanno andando in pensione e non c'è nessuno all'orizzonte per rimpiazzarli. Dovremmo pensare a una formazione in questo senso".
Il presidente dei giornalisti cinematografici intanto, racconta la sua esperienza: "Da 15 anni organizzo una rassegna di cinema italiano in Germania, e quest'anno siamo arrivati a toccare i cinema d'essai di 30 città. Sono le sale che chiedono di partecipare, semplicemente perché i film italiani funzionano". Criticità e buone premesse, insomma, in un momento in cui un (buon) film come Il capitale umano che non ha avuto nemmeno passaggi ai festival è stato appena venduto in 30 paesi. Ma, appunto, grazie a una società francese come la Bac Films. Per il futuro, allora, da dove si parte? Prova a rispondere, in conclusione, Giorgio Gosetti: "Dalla garanzia di un impegno strutturale da parte dei due ministri - , quello dei Beni Culturali e dello Sviluppo Economico -
già impegnati da un protocollo. Dalla auspicabile triennalità di progettazione e da un sostegno pubblico a iniziative di formazione professionale".