Il testamento di Andrzej Wajda sulla libertà dell’artista

Afterimage è la storia tragica e vera dello scontro, nella Polonia comunista fine anni ’40, tra la dittatura stalinista e il pittore d’avanguardia Władysław Strzemiński


Al pubblico che avrebbe dialogato con lui Andrzej Wajda, scomparso da meno di una settimana, lascia un film, Afterimage – Immagini residue, presentato nella Selezione Ufficiale e in attesa di un distributore italiano, che è una sorta di testamento forte e netto sul ruolo dell’artista e sulla sua libertà di scelta nei confronti del potere.
“Si tratta di un film soprattutto sulla libertà dell’artista, di come egli si rapporta con la realtà – dice il produttore Michal Kwiecinski – Per caso abbiamo girato questo film un anno prima delle elezioni in Polonia (vinte dai nazionalconservatori, ndr.) che hanno cambiato la situazione politica e di governo e il film è diventato più che mai attuale, perché pone delle domande sul controllo del potere nei confronti della cultura”.
Del resto per il produttore e il direttore della fotografia Pawel Edelman la democrazia polacca in questo momento è in pericolo ed entrambi si sentono in sintonia con le manifestazioni di piazza promosse dal Comitato per la difesa della democrazia.

La storia tragica e vera di Afterimage è quella dello scontro nella Polonia comunista fine anni ’40  tra la dittatura stalinista e il pittore d’avanguardia Władysław Strzemiński, insegnante amato e rispettato dagli studenti dell’Accademia delle Belle Arti di Lódz dove aveva fondato nel 1934 il Museo d’Arte Moderna, secondo nel mondo. La Direzione universitaria e il Ministero della Cultura impongono a tutti gli artisti l’adesione piena e incondizionata alle dottrine del realismo socialista, teorizzato dal Partito come unica e obbligata risposta all’arte decadente borghese e capitalista. Strzemiński e i suoi allievi sono invece convinti di un’altra strada, quella dell’arte astratta, ma dissentire dalle decisioni del Partito non è previsto, pena diventare da subito ‘nemici del popolo’. Strzemiński non rinuncia alle proprie idee, rifiuta qualsiasi atto di sottomissione e lo paga fino alle estreme conseguenze: perdita del posto di insegnante, distruzione di parte delle sue opere, espulsione dall’Associazione dei pittori. Povero e malato è costretto per sopravvivere ad arredare le vetrine dei negozi, non rinunciando tuttavia alla sua identità e integrità di artista libero da ogni diktat.

Con questo cinquantaseiesimo lungometraggio Wajda è candidato all’Oscar come miglior film straniero. “Era felice per la candidatura, ma con il dubbio di avere tolto un’opportunità ali giovani registi polacchi – rivela il produttore Kwiecinski – Alla fine si era convinto che il suo film può arrivare a un pubblico più vasto, come quello americano, e la conferma l’ha avuta al Festival di Toronto”.
Wajda da 20 anni voleva realizzare questo film che forse sentiva vicino, lui che aveva studiato dopo la guerra all’Accademia delle Belle Arti di Cracovia, prima di entrare alla Scuola Nazionale di Cinematografia di Łódź.

Il protagonista Boguslaw Linda, che ci restituisce un’interpretazione mai patetica di un uomo eroico e struggente, ha interpretato quattro film del regista polacco e così lo ricorda: “Era un grande bambino eterno, felice ogni volta di poter lavorare e giocare con una vicenda inedita. Ogni suo film è stato un’impresa difficile da realizzare. Non mi ha scelto per come ho interpretato il ruolo perché all’inizio vedeva il personaggio di Strzeminski pieno di energia, militante, anche più sorridente. Io invece l’ho reso in modo diverso, meno solare, più chiuso e Wajda ha avuto l’umiltà di accettare questa mia versione”.
E al ricordo del regista si unisce anche  Edelman, il direttore della fotografia del film: “Wajda aveva un atteggiamento molto razionale nei confronti della politica e delle vita sociale che lo avvicinava a Lech Walesa, tendeva più a una conciliazione superando le divisioni”.

Stefano Stefanutto Rosa
14 Ottobre 2016

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