Quando Topazia e Fosco dissero no al fascismo

Haiku on a Plum Tree di Mujah Maraini-Melehi, con Deborah Belford de Furia, è una biografia di famiglia che s'intreccia con la storia della seconda guerra mondiale


Mujah Maraini-Melehi, con Deborah Belford de Furia, è l’autrice di Haiku on a Plum Tree, documentario della sezione Riflessi, qui in anteprima mondiale, che racconta la storia della sua famiglia – il nonno era Fosco Maraini – e la non adesione alla Repubblica di Salò, che lo portò al confino nei campi di concentramento del Giappone. Mujah, figlia di Toni, nipote di Dacia (la zia), di Fosco Maraini e Topazia Alliata compie un viaggio, “probabilmente ancora da completare”, nel Giappone contemporaneo alla ricerca della biografia della sua famiglia, scoprendo così “un luogo a cui sento di appartenere ma anche un pezzo di storia non soltanto personale ma, credo, da consegnare anche alle altre persone, perché fa parte della Storia sociale e quindi è di tutti noi, non soltanto mia”.

Il titolo che sceglie fa parte di una frase dedicata a Topazia dallo scrittore americano John Minczeski, scritta di pugno in un campo di concentramento, “proprio sul suo diario”, precisa Mujah, perché la concretezza del gesto e la materia della carta dell’oggetto riescono a restituire ancor di più l’umanità della poesia. Haiku è un componimento poetico giapponese del XVII secolo, “in tre tempi, quindi dinamico, che non si perde nelle parole ma riporta subito a qualcosa di presente e concreto”, come era la nonna Topazia d’altronde, anima del documentario, mentre Plum Tree significa albero di prugne, “simbolo del Giappone”: così spiega l’autrice la scelta del titolo, che contiene la storia della nonna e della famiglia, ma anche la Storia di due Paesi.

Il racconto, la voce, sulle note nervose di uno strumento a corde – la musica, “dono di Ryuichi Sakamoto“, è poi un elemento quasi perenne del film, dolce accompagnatore – inizia con una frase che si ripete, “non esistevamo, non esistevamo”, insistente sull’immagine di un ritratto di famiglia in lontananza, in bianco e nero. La voce è subito quella di Topazia Alliata. Poi continua, in prima persona, ma la voce cambia, diventa quella di Mujah, che subito esprime il suo sentirsi nata in quella storia, così da far comprendere di non essere solo un’erede che ha raccolto delle testimonianze, anche se “mia madre, Toni, mi ha suggerito di fare io un film, perché forse il distacco generazionale poteva permettermi di fare una lettura più lucida e quindi profonda”.

Si alternano immagini di documenti personali dei nonni, fotografie di famiglia a due colori dissolte su intrecci di rami che per qualche momento vivono di colore e movimento animato, vivo di Mujah in un errare tra Tokyo e i campi di concentramento, il tutto per accompagnare la frase cuore del senso del film, detta fuori campo da Mujah: “Ho bisogno di capire”.

Il racconto s’avvia da Firenze, nell’archivio di famiglia, con la mamma, e riprende, come se cercasse un secondo inizio, quello vero, da Bagheria, da Villa Valguarnera, luogo natìo di Topazia – “sin da bambina la chiamavo Topazia, mi ha sempre trattata alla pari, come fossi un adulto, e anche per questo ho un sentimento di gratitudine per lei”, continua Mujah – dove ripete “ho bisogno”: la voce di Mujah ribadisce, infatti, “ho bisogno di iniziare qui, in Sicilia, dove mia nonna è cresciuta”.

Il racconto s’intuisce presto essere quello di un matriarcato importante: era Topazia, ventenne, a portare la macchina, lei che frequentando le Belle Arti dipingeva e aveva un suo studio, sopra quello di Renato Guttuso, ma era lui a domandare permesso per salire da lei, non il contrario. “Era incredibile la vita, bellissima”, dice Topazia Alliata. Ma d’altronde fu sempre lei in prima persona a recarsi a Firenze, invitata da Antonio Maraini, padre di Fosco, per mostrarle le proprie sculture: in questo passaggio ricorre anche – per la prima volta, poi ne seguiranno altri – l’inserto di una sequenza d’archivio dell‘Istituto Luce, e la ripetizione di effetti prossimi al teatro delle ombre, sul racconto dell’innamoramento tra lei, Topazia Alliata, e il biondo e bellissimo Fosco Maraini.

Haiku on a Plum Tree è una biografia di famiglia che s’intreccia con la Storia, quella mondiale, quella italiana di quando Mussolini crea la Repubblica di Salò, l’8 settembre 1943, e la dittatura si domanda da che parte stiano gli italiani in Giappone e, come dice Dacia Maraini nel documentario, “Molti hanno firmato, c’erano molti italiani in Giappone che hanno firmato perché hanno pensato fosse una formalità”. Ma non Topazia e Fosco: “un atto di grande coraggio e di grande idealismo”, continua Dacia. Da quel momento la famiglia è in arresto domiciliare e poi internata a Nogoy. Mujah, così, ha bisogno di cercare di capire cosa stesse alle spalle di quella detenzione, da qui riferisce di documenti segreti, di piani di gestione di persone e bambini, durante un viaggio in cui, in prima persona, porta con sé lo spettatore a Tokyo, luogo a cui si sente, comunque, di appartenere e che “forse ancora non ho completato di esplorare: vorrei tornare per andare a Kyoto, nel quartiere dove vivevano, che ancora esiste, nella casa, perché c’è ancora qualcosa, forse molto, da ritrovare per me”. Topazia Alliata è mancata lo scorso anno, dopo aver sostenuto la nipote nella scoperta di questa storia e con la promessa di aspettare il suo ritorno dal Giappone, promessa mantenuta, che affettuosamente commuove l’autrice.

Nicole Bianchi
15 Ottobre 2016

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