Miracolo a Milano. Con lo chef Bottura

Girato da Peter Svatek e presentato alla Berlinale nella sezione Culinary Cinema, il documentario Theater of Life è il racconto del dietro le quinte della mensa sociale aperta a Milano durante Expo


BERLINO – Testa canadese, cuore italiano: girato da Peter Svatek e presentato alla Berlinale nella sezione Culinary Cinema, il documentario Theater of Life è il racconto, accurato e cronologico, del dietro le quinte della mensa sociale aperta a Milano, durante l’Expo 2015, dal cuoco Massimo Bottura in collaborazione con la Caritas. Al centro del film, “realizzato con il sostegno del National Film Board of Canada – ha spiegato il regista – e l’interessamento della tv canadese”, c’è il Refettorio Ambrosiano, una mensa per homeless aperta nel maggio 2015 in un ex teatro del quartiere Greco, dove per tre mesi si sono alternati ai fornelli 40 chef internazionali. Due le direttive principali dell’operazione, tuttora attiva a Milano e con due “filiali” in apertura a Berlino e Londra: servire pasti a costo zero ai più bisognosi, e farlo riciclando gli avanzi dell’Expo e delle grandi catene commerciali.

“Non sono un fanatico del cibo, non è un tema che mi interessi particolarmente.  Certo, poter contare sulla presenza nel film dei migliori cuochi nel mondo è stato molto utile nella fase della raccolta fondi – ha detto Svatek – ma quel che mi interessava era diverso. Volevo indagare sia i motivi profondi per cui questi cuochi hanno sentito il bisogno di aiutare il prossimo, che le dinamiche dell’incontro con chi veniva a mangiare al Refettorio senza sapere chi fossero. All’inizio ero scettico: gli chef oggi sono vere star, e come tali sono molto consapevoli della propria immagine e di come gestirla. Poi ho capito che il loro intento era sincero”.

Il cuore del film di Svatek, tuttavia, non risiede tanto nelle storie degli chef quanto in quelle delle persone che ogni giorno, per tre mesi, si sono rivolte al Refettorio per trovare un pasto caldo e un’occasione per socializzare: la homeless Stefi poetessa di Monza, la madre single Christiana, la rifugiata Fatou, l’ex tossicodipendente Giorgio. “Non tutti volevano essere nel film. C’erano homeless che non volevano farsi riconoscere o migranti che ritenevano pericoloso apparire in video. I primi mesi a Milano li abbiamo impiegati per capire quali persone fossero interessate al progetto e quali no. È stato fondamentale il contributo dei volontari della Caritas e l’aiuto degli italiani della mia troupe, i cameraman Giancarlo Migliore e Nicola Baraglia”.

In un momento storico in cui “la situazione internazionale è insostenibile, con Trump da una parte e tutto quel che sta accadendo in Europa dall’altra”, il film di Svatek racconta “la possibilità di aprire la porta alla compassione. Il cibo è un linguaggio universale, attraverso il cibo si possono far comunicare culture diverse e religioni. Con il cibo hai a che fare con la realtà e con i pregiudizi. Mi sembra molto naturale che un esperimento come quello del Refettorio sia nato in Italia, un paese “caldo” e premuroso dove il cibo è come una fede”. Invitato a partecipare fra due settimane al Festival dei Diritti Umani Jeden svět di Praga e a seguire al Festival di Tessalonica, Theater of Life “è stato preso in considerazione per la distribuzione internazionale da Netflix – ha detto il regista – Siamo ancora in trattative, si vedrà”.      

Ilaria Ravarino
18 Febbraio 2017

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