E Aki disertò la conferenza stampa

Il regista finlandese, fino all'ultimo dato come gran favorito di questa 67ma edizione, non deve essere stato contento del quarto premio, l'Orso d'argento per la regia andato a The Other Side of Hope


BERLINO – Niente conferenza stampa per Aki Kaurismaki. Il regista finlandese, fino all’ultimo dato come gran favorito di questa 67ma edizione, non si è accontentato del quarto premio, l’Orso d’argento per la regia andato a The Other Side of Hope. E così ha rotto il cerimoniale, non presentandosi al tradizionale incontro con i giornalisti, unico assente tra i premiati. 

Ha parlato invece a lungo Ildiko Enyedi, la 61enne regista ungherese incoronata con l’Orso d’oro per On Body and Soul, opera compatta e rigorosa, di grande eleganza stilistica – ha vinto anche il Premio Fipresci mettendo per una volta d’accordo la critica e la giuria – sull’incomunicabilità e sull’amore. Un film che in Italia sarà distribuito da Movies Inspired. Il massimo premio è andato così a un’autrice ben nota ma che da 18 anni era lontana dai festival. “Per anni non ho potuto fare film – ha raccontato – nel frattempo è venuta fuori una nuova generazione che rispetto molto, per l’originalità dei loro lavori, e sono fiera di far parte di questo club”. Del suo film, storia dell’avvicinamento lento e difficile tra due anime gemelle, solitarie e smarrite, che ogni notte si incontrano in un sogno, ha detto: “Ognuno ha dentro di sé dei dei tesori che non esprime, capita anche a me. Volevo indurre queste due persone ad uscire dai loro territori protetti e avvicinarsi. Spesso si vive una vita sicura ma triste, invece bisogna prendersi dei rischi”. Infine un accenno alla difficile situazione del suo paese: “In Ungheria regna l’assurdo, la paura, ma il cinema gode ancora di una certa libertà”. 

Premio Alfred Bauer per l’apertura di nuove prospettive a un’altra donna – erano quattro quest’anno in competizione – Agnieszka Holland, con il thriller femminista e animalista Pokot. “Sono decenni che giro film e di solito sono considerata una regista classica, quindi mi fa piacere pensare che il mio cinema rimetta in questione le forme tradizionali e poi questo premio è andato anche al mio maestro Wajda, il grande regista polacco da poco scomparso. Si vede che bisogna rischiare, uscire dalla confort zone, io ho cercato di farlo con Pokot. Tra i cineasti che ridiscutono i codici contemporanei amo Michael Haneke“. Quindi un riferimento al sistema cinema nazionale che negli ultimi anni ha prodotto grandi successi internazionali come Ida, arrivato agli Oscar. “Abbiamo lottato per ottenere una legge che protegga il cinema, ci siamo riusciti nel 2005. Da allora abbiamo un sistema di autofinanziamento che ha fatto crescere il numero dei film prodotti ogni anno e il numero degli spettatori, abbiamo allevato una nuova generazione di talenti, ora speriamo che i politici non vogliano distruggere quello che è stato costruito”.

Il franco-senegalese Alain Gomis, regista di Félicité, ha rivendicato il coraggio e l’indipendenza della sua protagonista, una cantante di Kinshasa che si trova a dover raccogliere una grossa somma di denaro per curare il figlio, vittima di un incidente. “Mi sono ispirato alle donne della mia famiglia, donne che ammiravo molto. Come per la maggior parte delle persone su questo pianeta la mia protagonista è costretta a vivere alla giornata, ma è un personaggio complesso, è intransigente e si è isolata. La sua indipendenza è anche il suo problema, perché non riesce più a lasciarsi amare”. Il film è stato reso possibile da una coproduzione che coinvolge paesi africani ed europei, con il sostegno, tra l’altro, del programma della Biennale di Venezia Final Cut in Venice.

Grande star della serata l’affascinante Daniela Vega, la ventisettenne attrice e cantante lirica transgender, straordinaria protagonista del film cileno Una mujer fantastica di Sebastian Lelio, premiato per la sceneggiatura. E’ stata lei a prendere la parola ricordando che “l’amore è amore, una cosa universale che noi tutti viviamo allo stesso modo”. Quanto alle difficoltà di chi vive una condizione Lgbt, “in tutto il mondo sono le stesse e il Cile non fa eccezione. Ma nei paesi dove i diritti sono garantiti le cose vanno meglio, mentre da noi non è così. Gli artisti arrivano prima degli altri a sollevare questioni delicate, importanti, che riguardano chi vive al margine della società e ancora non viene riconosciuto. Noi esseri umani siamo tutti diversi, anche se sembra un luogo comune, la vera questione è la diversità”. 

Dichiarazioni fortemente politiche per Raed  Andoni, che ha ricevuto il neonato Glashütte Original Documentary Award per Ghost Hunting (anche questo progetto sostenuto dal workshop Final Cut in Venice) sulle condizioni di prigionia dei palestinesi (attualmente ce ne sono 7.000 in carcere). “Ho mescolato fiction e documentario per raccontare l’esperienza spaventosa in un centro di interrogatori a Gerusalemme. Io stesso ho vissuto la prigione a 18 anni anche se non ho visto nulla perché sono rimasto per tutto il tempo con un sacco sulla testa. Quel trauma è qualcosa di indelebile e credo che il film mostri come si convive con esso e come si possa superarlo”. E non è mancata una battuta su Donald Trump, vero tormentone di questo festival, da parte di Laura Poitras, giurata del premio del documentario e autrice di Citizenfour sul caso Snowden: “Il presidente degli Usa ha indicato i giornalisti come nemici dell’umanità. Noi invece siamo nemici della discriminazione e dell’esclusione”.

Cristiana Paternò
18 Febbraio 2017

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