Cinema russo, con la testa voltata all’indietro

Prosegue alla Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro la sezione sul cinema russo. Il pubblico della Piazza del Popolo applaude Sofichka di Kira Kovalenko e una tavola rotonda fa il punto


PESARO – E’ arrivato al settimo anno il matrimonio tra la Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro e il cinema russo e non c’è accenno di crisi. Anche in questa edizione una piccola ma significativa selezione di nuovi autori propone quattro lungometraggi, tra finzione e documentario e due corti d’animazione, applauditi questi, insieme al film Sofichka di Kira Kovalenko, dal pubblico di Piazza del Popolo. “Sguardi russi”, così si chiama la sezione curata da Giulia Marcucci, ha animato anche una tavola rotonda al Centro Arti Visive Pescheria. Kira Kovalenko è un’allieva del grande Aleksandr Sokurov con cui ha studiato per un quinquennio nell’Università Statale di Cabardino-Balcaria. E proprio al cineasta de L’arca russa si deve l’idea di un adattamento del romanzo di Fazil Iskander (1929-2016), considerato il “García Márquez dell’Abcasia”, che ripercorre, sullo sfondo della Grande Guerra Patriottica, le vite degli abitanti di un villaggio montano e in particolare di Sofichka, restituita in due età della vita, da giovane sposa e da disillusa donna matura. Il film che ha un grande impatto visivo e una struttura non lineare, con continui passaggi temporali, e l’irruzione dei pensieri della protagonista, ha la particolarità di essere girato in abcaso e con attori non professionisti. “Lo stesso Iskander, che quando ho iniziato a lavorare al progetto era ancora vivo – racconta la giovane cineasta – era poco convinto di questa scelta. Lui aveva scritto il suo romanzo in russo, anche perché la lingua locale era bandita ai tempi di Stalin. Ma per me era importante usare l’idioma per trasmettere l’essenza di quelle persone: un popolo che non conosce la sua storia e tanto umile da non voler indossare neppure il costume nazionale. Domani vedranno il film per la prima volta, in tv perché lì non ci sono sale cinematografiche, e sapremo cosa ne pensano. Sokurov mi ha molto incoraggiato a raccontare la realtà caucasica e anche il mio nuovo film sarà incentrato su quella regione”.

Le donne sono una forte presenza di questa settima edizione di “Sguardi russi”, che però non è dedicata, come in passato, solo alla regia femminile. “Abbiamo puntato su giovani registi e debuttanti – spiega Giulia Marcucci, ricercatrice presso l’Università per stranieri di Siena – ma senza limiti di genere”.  

In programma anche Kollektor (L’esattore) di Aleksej Krasovskij – un thriller che coinvolge l’uso di internet per rovinare la reputazione delle persone – e due cortometraggi d’animazione realizzati da Dina Velikovskaya, nata nell’84, laureata in scenografia teatrale e in seguito diplomata al Vgik. Il mio strano nonno (2011), il suo saggio di diploma, è la breve storia di un vecchio inventore e di sua nipote che vivono in riva a un mare fatto con pezzi di pellicola trasparente. Tutto è realizzato con oggetti e pupazzi come anche ne Il cuculo (2016) che riprende le stesse tecniche per imbastire una vicenda evocativa e dai toni misteriosi che Dina spiega con circostanze fortemente autobiografiche. “Vivo in Germania e volevo trasmettere i sentimenti della lontananza e della nostalgia, perché ho dovuto lasciare mio figlio dai parenti in Russia e mi sentivo colpevole e a disagio. Il film parla di un amore che non può essere distrutto da niente e da nessuno”.

Denis Sabaev (Mosca, 1980) sceglie il documentario in Cuzaja Rabota (Non è il mio lavoro), per raccontare un’altra storia di quell’universo sovietico oggi polverizzato. Il protagonista della vicenda, Farruch, è arrivato nella capitale dal Tagikistan col sogno di diventare un attore famoso, ma la realtà è fatta di povertà e delusioni. “Il mio intento – dice il regista – era raccontare l’intimità di una persona ma senza perdere il rispetto, in qualche modo avvicinandomi a Farruch con circospezione durante i sei mesi di riprese”. Ora il cineasta, che si è formato alla scuola del documentario con Marina Razbezkina e Michail Ugarov, sta montando il prossimo film che uscirà in autunno.

God Literatury
(L’anno della letteratura) di Olga Stolpovskaja (attiva fin dal 2004 col primo lungometraggio Ti amo, distribuito anche all’estero, in particolare in GB, Francia, Germania e Stati Uniti), è uno strano documentario autobiografico sullo scrittore Aleksandr Snegirev, marito della regista. “E’ un film confessione su un anno della nostra vita in cui a nostra figlia è affidata la macchina da presa, in un certo senso rappresenta l’unione tra cinema e letteratura che pervade tutta la cinematografia russa contemporanea e non solo”. Tra citazioni dei grandi maestri – Dostoevskij, Majakovsky e Cechov – il doc parte da una circostanza reale: la casa della scrittore sarà demolita per costruire un’autostrada. Che fare? Meglio far finta di niente e continuare a creare. “Non ci sono molti lettori in Russia – spiega Snegirev, vincitore del Booker’s Prize russo nel 2015 – ma tutti rispettano questa professione e forse per questo molti si occupano di letteratura o vogliono scrivere”.

Giulia Marcucci ha appena pubblicato per Stilo Editrice Falce senza martello, un’antologia di giovani voci promettenti, che comprende 11 racconti di 10 scrittori nati tra gli anni ’70 e gli ’80 e affermatisi allʼinizio dei Duemila. Pur avendo origini differenti scrivono tutti nella stessa lingua, alcuni in una forma più breve, altri tendendo al racconto lungo. Il loro sguardo – sul passato in particolare – è spesso simile, con qualche rimpianto per il mondo sovietico solo sfiorato in gioventù. “E’ una generazione che guarda al passato ed è orfana di alcuni valori perché è nata durante l’Urss ma ha nostalgia di qualcosa che ha vissuto a malapena”, spiega ancora Marcucci.

Per Aleksander Snegirev “le guerre sono legate alla nostra tendenza a vivere nel passato, con la testa girata all’indietro. Prima ci stacchiamo dall’ideale dell’uomo forte, prima riusciremo a cambiare”. E sul centenario della Rivoluzione di ottobre, che cade proprio quest’anno, non tutti hanno qualcosa da dire: “Sono apolitica e guardo solo all’anima dei personaggi – dice Kira Kovalenko – anche le manifestazioni di piazza le considero solo dal punto di vista privato. Mi sento un’artista e non una politica. Un’opera d’arte per me avrà lunga vita solo se riguarda l’umanità”. Di diverso avviso Velikovskaja: “La politica mi interessa e molto. Partecipo ai raduni di piazza e penso che sia importante trasmettere al mondo intero che c’è una parte che non è d’accordo con il potere”.  Non è esclusa per questi cineasti la possibilità di lavorare al di fuori delle strettoie della censura: “Ci sono giovani autori non supportati dallo Stato che basandosi su finanziamenti privati riescono a far sentire la propria voce liberamente”, dice Tatjana Stolpovskaja. La conclusione tocca a Snegirev: “Mio padre che aveva 18 anni quando è morto a Stalin, chiese a mio nonno, un generale russo, ora come andremo avanti? E il nonno rispose: ‘stai tranquillo, non cambierà niente’. L’arte conta, la relazione tra le persone conta, ma il potere non conta nulla”. 

Cristiana Paternò
20 Giugno 2017

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