Les gardiennes, donne in guerra

Dal romanzo omonimo di Ernest Pérochon, una storia che parte nel 1915 in una zona rurale della Francia. Ce ne parla la produttrice Sylvie Pialat, ospite del Festival di Mar del Plata


MAR DEL PLATA – La prima guerra mondiale, vista e raccontata senza esplosioni e spari. Ma attraverso lo sguardo femminile, quello delle contadine costrette a mandare avanti una fattoria mentre tutti gli uomini, tranne l’anziano padre invalido, sono al fronte. Impegnati in un conflitto lungo, durissimo e sanguinario da cui molti non torneranno mai e altri faranno ritorno segnati nell’anima. E’ Les gardiennes, nuovo film di Xavier Beauvois, già autore del notevole Uomini di Dio, qui alle prese con il romanzo omonimo di Ernest Pérochon. Nathalie Baye, Laura Smet e Iris Bry sono le protagoniste di questa storia che parte nel 1915 in un zona rurale della Francia: la matriarca Hortense (Baye) assume una giovanissima orfana, Francine (Bry), come bracciante perché non ce la fa più a mandare avanti il lavoro solo con l’aiuto della figlia maggiore (Smet). Ma il ritorno dal fronte di uno dei suoi figli, Georges, provocherà una spaccatura insanabile nella piccola comunità femminile.

“Come si fa a raccontare la guerra con immagini potenti ma senza mostrarla direttamente? – si chiede il cinquantenne regista due volte premiato a Cannes – abbiamo visto così tanto che tutto ci lascia indifferenti, impenetrabili alla sofferenza. Elemento chiave della costruzione sono gli arrivi e le partenze degli uomini dal fronte che interrompono la lotta delle donne contro la natura”. Ma il film ha anche una connotazione femminista nel mostrare il preciso momento storico in cui la forza lavoro femminile afferma prepotentemente, costretta dalle circostanze, la sua capacità di autonomia. E non stupisce che sia stata proprio una donna a produrre e volere fortemente il film, ovvero Sylvie Pialat.

La vedova del grande regista è qui a Mar del Plata per l’omaggio al marito scomparso nel 2003, di cui si proiettano quattro film tra cui Sotto il sole di Satana. E racconta la genesi del progetto: “Mio nonno possedeva un solo libro, ‘Les gardiennes’ appunto, opera di uno scrittore agricoltore ferito durante la guerra 1914-18. Sei anni fa inviai il romanzo a Beauvois per proporglielo, mi pareva il regista giusto perché so che ha origini contadine. Lui non mi rispose mai, ma un giorno lo incontrai a un festival e mi disse: ‘certo, ricordo perfettamente in che punto della libreria ho messo quel volume anche se non l’ho letto’. Poi mi ha raccontato che voleva fare un film sullo sbarco in Normandia ma era risultato troppo costoso e allora gli ho suggerito di fare questo, perché era un modo straordinario di parlare della guerra senza mostrare neppure una battaglia”.

Per Sylvie, che ha collaborato per trent’anni con il marito come sceneggiatrice e produttrice, Les gardiennes – selezionato in concorso a Mar del Plata – è decisamente un omaggio al coraggio delle mogli e delle vedove: “Durante il conflitto rimpiazzarono gli uomini in tutti i settori, siamo tutti figli di queste donne che hanno vissuto oltre il dolore, il lutto, la perdita, la fatica”. 

Racconta di aver iniziato a fare cinema per caso: “Lavoravo in un ristorante argentino a Parigi per pagarmi gli studi. Lì ho conosciuto Cyril Collard e mi ha fatto avere un appuntamento con Maurice che cercava un’assistente, ma aveva fama di cattivo carattere. In effetti quando sono entrata nella stanza stava guardando i giornalieri di A nos amours e mi ha praticamente mandato a quel paese, ma poi ho avuto il lavoro e alla fine delle riprese ci siamo sposati. Niente molestie, nel nostro caso”.

Adesso Sylvie Pialat, che cita come suo maestro lo scomparso Daniel Toscan du Plantier (e ha ottenuto per ben due volte il premio a lui dedicato) ha già una serie di nuovo progetti in post produzione, tra cui spiccano il nuovo film di Guillaume Nicloux con Gérard Depardieu (The End) e La prière di Cédric Kahn su una comunità di recupero per tossicodipendenti.  

Cristiana Paternò
20 Novembre 2017

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