L’anno zero dell’audiovisivo

Affollato convegno alla Casa del Cinema di Roma organizzato dalla rivista Quinlan per dibattere sul futuro del cinema italiano alla luce della nuova legge


C’è forte interesse – e molta perplessità – riguardo ai meccanismi della nuova legge, la 220/2016 meglio nota come Legge Franceschini. Almeno a giudicare dall’affollato convegno organizzato dalla rivista Quinlan alla Casa del Cinema di Roma: “Legge Cinema, anno zero”. Cosa cambierà davvero, tanto più in questa fase di incertezza politica?, si sono chiesti i redattori del magazine. E hanno chiamato a dibatterne addetti ai lavori e critici, membri degli organismi direttivi e delle commissioni ministeriali, studiosi e rappresentanti delle associazioni di categoria, con l’intento di fotografare lo stato attuale dell’arte ma soprattutto di immaginare scenari futuri. Perché ad ogni legge cinema corrisponde un modello produttivo e artistico. E così abbiamo avuto in passato il cinema dell’art. 28 con le sue ambizioni commisurate a fondi limitati e ristrette spesso a “due camere e cucina”, o il cinema del reference system, caratterizzato dal ricorrere dei volti degli attori premiati. Come si prospetta allora il cinema della nuova legge? Più forte a livello industriale, più internazionale e magari aperto alla serialità. Ma ci sarà sufficiente attenzione anche per il cinema d’autore e per i prototipi? Gli autori saranno remunerati adeguatamente per le loro creazioni? I broadcaster acquisiranno maggiore potere? 

Tre i panel moderati da Elisa Battistini,. Alessandro Aniballi e Raffaele Meale. L’ultimo dedicato ai delicati argomenti della promozione e dell’educazione dello spettatore del futuro. Il primo alle risorse e alle applicazioni della Legge, con temi quali il Consiglio superiore del cinema e dell’audiovisivo e i contributi automatici e selettivi. Il secondo al punto di vista di autori, esercenti, produttori e distributori indipendenti.

Ad aprire le danze sono stati Roberto Cicutto (presidente e AD di Istituto Luce-Cinecittà), Massimo Galimberti (membro della precedente commissione di selezione), il professor Gianni Celata, due membri del nuovo Consiglio Superiore del Cinema e dell’Audiovisivo come Michele Lo Foco e Francesca Medolago Albani. Cicutto ha riassunto la storia della ri-pubblicizzazione di Cinecittà Studios insistendo sul tema della difesa dell’occupazione. Galimberti ha sottolineato l’operato sano delle commissioni ministeriali precedenti: “I cinque film candidati ai David quest’anno, per fare un esempio, sono stati tutti finanziati dallo Stato, fino al 70%”. E Galimberti si chiede come lavorerà la nuova commissione di esperti che sarà coadiuvata stavolta da un pool di lettori: “Temo che mancherà quello sguardo d’insieme sul sistema che noi avevamo con la lettura di tutti i progetti e grazie alle audizioni”. Per il prof. Celata è importante valutare nei progetti sia l’innovazione che il potenziale di mercato: “L’idea più bella del mondo non esiste se non c’è dietro un’idea produttiva”. Francesca Medolago Albani ha chiarito alcuni punti della nuova legge, in primis la certezza delle risorse, con un minimo di 400 milioni di euro. “E’ un sistema virtuoso che, al crescere del gettito fiscale nel settore, vede crescere la contribuzione”. Nel 2017 i 400 mln sono così ripartiti: 221 mln vanno al tax credit (55 di questi all’audiovisivo), 179 mln a contributi selettivi, promozione, educazione all’immagine, digitalizzazione del patrimonio, contributi automatici e contributi straordinari per le sale. 

Piuttosto critici i partecipanti al panel successivo (tra l’altro si è sottolineato che i circa due anni necessari a portare a regime la legge con i decreti attuativi hanno prodotto una pesante battuta d’arresto). Paolo Minuto, distributore con Cineclub Internazionale, dissente sulla composizione delle commissioni, dove non sono presenti distributori e rappresentanti del pubblico o della critica: “Il mercato italiano si sta polarizzando, tra essai e blockbuster, il prodotto medio diventa televisivo”. Simone Isola, produttore Kimera Film, ritiene prematuro dare una valutazione su una legge di sistema e opinabile concentrarsi su singoli aspetti e cita A Ciambra come esempio di film realizzato grazie a molti soggetti e con un incasso iniziale di soli 26mila euro, un risultato che avrebbe scoraggiato molti investitori orientati al profitto. Polemico Francesco Ranieri Martinotti, presidente Anac: “Non è vero che la Legge Franceschini sia ispirata al modello francese, che ha al centro il concetto di solidarietà, qui piuttosto prevale il modello anglosassone basato su defiscalizzazione, internazionalizzazione e deregulation, ma manca una misura antitrust”. Martinotti chiede che le risorse della cultura restino alla cultura e che il tax credit sia gestito da ministeri economici. Stefano Sardo (presidente 100autori) stigmatizza l’assenza di ritorno economico per i creativi già sottopagati. “Anche se un film incassa molto bene, allo sceneggiatore e al regista non viene un soldo, ad essere compensato è solo il produttore. Siamo in un sistema industriale dove il brevetto non conta niente e chi scrive guadagna sempre meno. Tutto questo genera film di scarse ambizioni perché conviene volare basso”. Infine il regista e sceneggiatore Roan Johnson lancia un parallelo con la ristorazione rispetto alla quota di mercato del cinema italiano, tra le più basse in Europa. “Il pubblico sa che se va da Starbucks o al McDonald’s trova sempre la stessa roba, magari non eccezionale ma mai deludente. Ma noi italiani abbiamo le trattorie: l’unico modo per aumentare la nostra quota è puntare sull’eccellenza di questo cibo. Però gli autori sono troppo poco premiati e allora sognano di andare prima possibile in America, è una pre-fuga dei cervelli”. 

Cristiana Paternò
11 Aprile 2018

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