Favino tra Bellocchio e i moschettieri del re

L'attore romano, al Bif&st protagonista di un'affollata masterclass, rivela i suoi prossimi impegni: cappa e spada con Giovanni Veronesi e Il traditore di Marco Bellocchio


BARI – Sarà nelle sale a Natale Moschettieri del re, il nuovo film di Pierfrancesco Favino, una curiosa commedia in costume diretta da Giovanni Veronesi sul set a maggio. Al fianco dell’interprete ci saranno Valerio Mastandrea, Rocco Papaleo e Sergio Rubini. “Un ritorno di un genere ormai un po’ desueto come il cappa e spada, ma anche un film molto divertente”, ha anticipato l’attore, che al Bif&st è stato protagonista di una master class condotta dal critico Fabio Ferzetti al Teatro Petruzzelli. L’altro importante impegno per il performer, reduce dal grande successo della conduzione del Festival di Sanremo, sarà interpretare il pentito di mafia Tommaso Buscetta (1928-2000) nel nuovo film di Marco Bellocchio Il traditore. “E’ un film che ho inseguito per molto tempo e sono felice di farlo, perché Bellocchio è uno dei registi ancora giovani e poi l’argomento, all’indomani della sentenza che ha accertato la realtà della trattativa Stato-mafia, offre un ulteriore spunto di riflessione”. Del mafioso soprannominato don Masino, Favino, apparso a Bari con il pizzetto di D’Artagnan, ha detto: “E’ un uomo diventato celebre senza mai essere stato nulla, un boss che non era un vero boss, il figlio di un vetraio, che produceva specchi, e che si è cambiato i connotati cinque volte”. E ancora: “Mentre giravo il film di Gabriele Muccino A casa tutti bene, mi preparavo al provino per questa parte studiando appena avevo un minuto”. 

Tutto esaurito per la sua travolgente lezione all’insegna dello straordinario carisma dell’attore ma anche della sua semplicità comunicativa e di una sincerità a fior di pelle: una standing ovation l’ha accolto dopo la proiezione di A.C.A.B. di Stefano Sollima, scelto tra i 76 film interpretati in 25 anni di cinema, teatro e televisione, senza mai restare prigioniero di nessun cliché. “Ho sempre pensato che il mestiere dell’attore fosse proprio questo, modellarsi rispetto a quello che si fa. Avere una faccia ‘facciosa’, d’altra parte, mi ha consentito di fare cose tanto diverse, come pure la consapevolezza della complessità di un individuo. Faccio l’attore fondamentalmente perché mi piace l’essere umano. Affrontare gli opposti è un altro privilegio pazzesco che mi ha offerto e continua a offrirmi questo mestiere, come quando nel giro di pochissimi mesi mi sono trovato a interpretare il poliziotto fascista di A.C.A.B. e l’anarchico Pinelli in Romanzo di una strage di Marco Tullio Giordana”.

E ha rivelato che dover recitare con una pistola in mano gli ha fatto capire, nonostante si sia sempre considerato un convinto pacifista, che in ognuno di noi esistono istinti inconsapevoli e magari violenti. “Per A.C.A.B. ho trascorso del tempo insieme a veri celerini, sono stato allo stadio a osservarli mentre lavoravano, ho preso dimestichezza con scudi e manganelli per poi scoprire che anch’io potrei usarli se dovessi essere aggredito. Mi era già capitato in Romanzo criminale, quando mi sono trovato con una pistola tra le mani. Ecco un altro aspetto positivo del mio lavoro: ti dà la possibilità di sollecitare i tuoi istinti e prendere coscienza dei rischi che comportano. Ho frequentato a lungo un vero celerino di destra per poi scoprire che a casa, insieme al busto del Duce, aveva il manifesto di Che Guevara. Questo per dire che l’essere umano non è mai una cosa sola. È anche per questo che ho accettato l’avventura del Festival di Sanremo”.

Sanremo ha cambiato la percezione del pubblico nei suoi confronti. “Ero poliedrico anche prima, ma adesso se ne sono accorti tutti – ha scherzato – Avrei dovuto fare già prima qualcosa del genere, superando la paura di ciò che il pubblico avrebbe pensato di me. Ma mi sono ricordato di come Gassman non avesse avuto timore di esibirsi a Canzonissima, di Mastroianni che ululava accanto a Mina, di Tognazzi che raccontava barzellette. Ora sono diventato nazional-popolare ma è una cosa bella. Purché lo si faccia bene”.

Momenti esilaranti della master class sono state le imitazioni – una specialità di Favino – dei colleghi Marco Giallini e Rocco Papaleo. Ma non sono mancati i momenti seri, per esempio quando ha parlato del suo impegno come direttore di una scuola di formazione per giovani attori a Firenze. “Ho deciso di dirigere l’Oltrarno di Firenze a condizione che la scuola fosse gratuita e poi ho voluto che gli insegnanti provenissero da tutto il mondo, perché gli allievi potessero apprendere delle tecniche che qui non sono insegnate. Negli Usa, dove ho lavorato spesso, la formazione è molto seguita”.

Una riflessione anche sull’immagine della donna, tra cinema e società. “Sono schifato da come vengono rappresentate nel cinema italiano, spesso come nevrotiche oppure bisognose. Ma la responsabilità è anche del mondo femminile, sono le mie colleghe che possono ribaltare i cliché. Maria Sole Tognazzi con Viaggio sola ci è riuscita. Nei miei spettacoli teatrali, La controra e Servo per due, le donne sono sempre protagoniste. E non vorrei mai che mia moglie si vestisse e si truccasse come per una copertina di una rivista patinata”. 

Prima di intrattenersi a lungo con gli spettatori per gli autografi e i selfie, ha incassato i complimenti di un illustre spettatore, Pippo Baudo, che sarà protagonista della prossima masterclass: “Sono venuto qui ad ascoltarti perché sei bravo, colto e intelligente. Ti auguro ogni fortuna!”.

Cristiana Paternò
21 Aprile 2018

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