BlacKkKlansman, il black power secondo Spike Lee

Spike Lee ha costruito una commedia politica sul Ku Klux Klan con tanti rimandi al presente e un attacco a Donald Trump


CANNES – Una questione che quasi non si rintraccia nel passato, che perdura nel presente e che anche il cinema – quello di Spike Lee senza dubbio – continua a proporre affinché la sensibilità globale non affievolisca, l’attenzione non possa abbassarsi: la “questione nera”. La questione dell’integrazione del popolo afroamericano nella società statunitense – ma anche la questione di tutte le integrazioni – la necessità e l’orgoglio del “black power”. 

Scritto e diretto da Spike Lee, il film è stato tratto dal libro umoristico Black Klansman di Ron Stallworth, protagonista della storia: nel cast, ad interpretarlo, John David Whashington, figlio di Denzel Whashington, che 26 anni fa, proprio per Lee, interpretava il ruolo di Malcom X nel film omonimo.

Questo spaccato di vita vera anche nel film è raccontato dalla persona che ha guidato, negli anni ’70, l’azione della polizia locale del Colorado, infiltratasi nel Ku Klux Klan: Ron Stallworth stesso, poliziotto in pensione, ha aspettato quasi trent’anni per scrivere sette mesi di un’esperienza fuori dall’ordinario, ricordata così da lui stesso: “Mi sono imbattuto in un annuncio del Ku Klux Klan, che includeva un indirizzo postale. Ho scritto una piccola lettera come un razzista bianco: ho spiegato che odiavo i negri, gli yikes, i latini, i gialli e i ritagli. Ho usato tutti i termini razzisti che mi sono venuti in mente. E ho scritto che volevo fare qualcosa per preservare la ‘supremazia bianca’. Ma ho fatto un grosso errore: ho firmato la lettera con il mio vero nome! Per essere onesti, ho avuto un momento di assenza al momento della firma. Tuttavia, il mio vero nome era in fondo alla lettera, mentre io avevo compilato il numero di telefono e l’indirizzo che usavamo per le nostre coperture”.  

La versione di Lee si presenta interessante per la scrittura in cui il nero Stallworth, dichiarando la propria identità per telefono a quelli del KKK, intesse un rapporto efficace e persuasivo al fine di riuscire a diventare parte della “comunità”, ma dal punto di vista fisico, chi praticamente entra in scena, fingendosi Stallworth, è invece il collega bianco Flip, ovvero Adam Driver, tra l’altro di origini ebraiche: particolare la capacità di messa in scena di questa unica identità declinata su due corpi e due interpreti differenti, ma entrambi necessari e concorrenti a mirare ad un comune obiettivo.

Il regista ha presentato il film, in Concorso a Cannes, dichiarando subito che, nonostante sia ambientato quasi 50 anni fa: “La tragedia non è finita. È quanto mai intensa oggi stesso”. Cosa che non ha mancato di esplicitare a partire dalle immagini: la pellicola si chiude con il repertorio dei fatti accaduti lo scorso agosto a Charlottesville, in cui, in un ennesimo bestiale scontro tra bianchi e neri, a rimanere uccisa è stata Heather Heyer, una giovane donna bianca che Lee ha ricordato, dicendo senza mezzi termini che: “è stato un omicidio. Non è stata una fiction, è stata realtà”. In merito a questo, la data di uscita del film nelle sale americane è fissata per il prossimo 10 agosto, ad onorare Heather e la ricorrerenza dei tragici eventi della scorsa estate. In Italia arriva il 27 settembre.  

“Dobbiamo scegliere la direzione giusta, prendere decisioni ferme, negli Stati Uniti come nel mondo – ha continuato Spike Lee – perché il razzismo non è un problema solo nostro, ma anche europeo, basta vedere come trattate arabi e migranti. Dobbiamo svegliarci, non stare zitti, non possiamo stare zitti. Questo film l’ho sentito prima nel cuore, era una critica necessaria da innescare. Il mio lavoro doveva… essere quello di prendere questa storia e connettere quella vicenda, quel periodo, con il presente”.

Una storia che Spike Lee ha raccontato scegliendo come figura principale quella di John David Whashington, nel ruolo del protagonista, che ha confidato di essersi: “reso completamente disponibile alla storia, con lo spirito soprattutto. Non avevo mai vissuto un’esperienza attoriale così, ne sono grato”. Gli fa eco Adam Driver, ovvero “il doppio” del personaggio di Stallworth: “L’assetto della produzione era molto familiare, questo ha reso tutto più semplice per essere a proprio agio con la storia. Quando reciti un ruolo non hai la responsabilità del personaggio di finzione, ma hai la motivazione di quello che con il personaggio stai raccontando”. Il regista, del suo cast, ha precisato che: “Ho messo in scena le migliori persone possibili, un buon film non è un miracolo”.

Un film dunque tra passato e presente, che Spike Lee ha voluto sottolineare anche nella scelta tecnica, in particolare puntualizzando come: “dagli anni ’70 ho mutuato lo split screen, tipico di quel periodo”.

Con un trasporto quasi da predicatore, facendosi portavoce della comunità nera, Spike Lee non poteva omettere un netto riferimento alla Presidenza americana e ha maledetto apertamente Donald Trump, senza filtri: “A quel figlio di puttana è stata offerta la possibilità di dire ‘stiamo parlando di amore e non odio’, e quel figlio di puttana non ha denunciato il fottuto Klan e quei figli di puttana nazisti”.

Il film ha debuttato sulla Croisette solo pochissimi mesi dopo l’inizio delle riprese, avviate nell’ottobre 2017, ad Ossining – New York, quando ancora era calda l’eco degli eventi di agosto, e Spike Lee, per rimarcare la stretta attualità del tema, ha chiosato dicendo che: “dobbiamo lavorare collettivamente, è una tempesta universale”.  

Nicole Bianchi
15 Maggio 2018

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