/ ARTICOLI

Un dialogo tra mondi, tra Oriente e Occidente, tra artiste, tra donne, Oum Kulthum e Shirin Neshat: l’artista iraniana, che vive tra l’antica Persia e la Grande Mela, ha presentato alla Festa di Roma, nell’ambito del progetto Videocittà, il suo ultimo film, Looking For Oum Kulthum, leggenda, quest’ultima, della musica egiziana, pregna di cultura coranica e altrettanto di laica audacia. 

Shirin Neshat dagli anni '90 lavora sull'identità femminile, in connessione con il suo Paese d'origine, l’Iran. Il suo lavoro è relativo la cultura e gli eventi iraniani, come vissuti anche sulla sua stessa pelle. Nel '74 è andata a studiare negli Stati Uniti, ma a causa della Rivoluzione del '79 non è più potuta tornare nella Terra natale fino agli anni '90.  

“Questo film non sarebbe stato possibile senza il grande aiuto dei miei amici italiani” ha tenuto a dire subito Neshat. “Questo film non sarebbe stato possibile se non avessero creduto anzitutto loro nel film, gran parte è stato possibile grazie agli amici italiani, tra cui Marta Donzelli di Vivo Film. Questo film parla, in parte, di un argomento universale: cosa ci vuole oggi per una donna, un'artista, per portare avanti il proprio lavoro, lottando contro le prassi tradizionali, come la famiglia? È una questione internazionale. È la storia di una piccola artista iraniana che guarda una grande artista egiziana come suo modello di riferimento. Oum Kulthum è stata un esempio di unificazione, qualcosa di davvero notevole considerato che è una donna e un’artista. Il film vuole anche mostrare che il Medio Oriente è una società molto cosmopolita”, ha continuato la regista. 

La sua sensibilità estetica diventa sempre opera d'arte, e lei si caratterizza molto per la generosità nel collaborare con altri artisti. “Sin dal mio inizio di artista, ho cominciato a collaborare con gli altri mestieri: il lavoro di squadra per me è naturale, non posso farne a meno. Collaboro con chi scrive, chi fa coreografia, e imparo moltissimo. Qui ho diretto un film arabo, in arabo - che io non parlo - dirigendo e collaborando con palestinesi, marocchini, italiani. Lavorare così è naturale come l'aria che respiro, non saprei fare in altra maniera”, ha commentato. 

Il linguaggio di Shirin Neshat va oltre qualsiasi caratteristica culturale specifica: “Il modo migliore per descrivermi è dire che io penso e lavoro sempre sentendomi sul confine tra Oriente e Occidente: ho una laurea occidentale in Storia dell'arte, ma al contempo le mie emozioni sono orientali. Mi rivolgo per questo a pubblici molto differenti, non potrei realizzare mai qualcosa di completamente occidentale o completamente orientale, così lavoro con Nathalie Portman o con Oum Kulthum”, ha spiegato Neshat, di cui non manca una traccia autobiografica nel film, come ha raccontato lei stessa. “Confesso un segreto. Quando ho iniziato il film pensavo fosse su un'icona, ma poi ho capito quanto fosse davvero grande lei, tale da essere per me impossibile scendere al di sotto della sua superficie. Mi sono sentita, come artista, molto vulnerabile, ho compreso questo aspetto, e quanto gli artisti lo tengano nascosto al pubblico, così come lei, Oum Kulthum, pur essendo capaci, al tempo stesso, di arrivare a tante persone, al punto di farle piangere”. 

VEDI ANCHE

ROMA 2018

Ad