Luigi Lo Cascio ‘passeur’ dal destino tragico

L'attore siciliano è il protagonista de Il mangiatore di pietre, esordio nella finzione del documentarista Nicola Bellucci in sala dal 18 luglio


Piemonte, una valle di montagna ai confini della Francia. Nel gelido clima invernale la rete dei trafficanti di droga opera con la complicità di qualche poliziotto compiacente, mentre alcuni profughi africani aspettano in una baita di superare il confine ed entrare in Francia. E’ questo lo scenario de Il mangiatore di pietre, esordio nel film di finzione, in sala dal 18 luglio, del documentarista Nicola Bellucci, che vanta tra i suoi lavori Grozny Blues (2015), girato in Cecenia nel corso di 3 anni e scelto tra i 15 migliori documentari dall’EFA.

Protagonista de Il mangiatore di pietre è Luigi Lo Cascio, nei panni di Cesare. “Il mio personaggio è un ex contrabbandiere, un uomo solitario, silenzioso, ruvido, ostico all’inizio, che porta con sé un grande dolore – spiega l’attore – la morte dell’amata moglie (Elena Radonicich), e un grande tradimento, quello del figlioccio, Fausto, che trova assassinato in una valle remota”. La sua morte lo costringe ad uscire dal suo isolamento per confrontarsi con la verità che sta dietro il delitto. Cesare è sotto sorveglianza quando la polizia inizia ad indagare sull‘omicidio, ma conquista la fiducia dell’investigatore, il commissario Sonja di Meo/Ursina Lardi. Sergio/Vincenzo Crea, un giovane ribelle del villaggio, desideroso di fuggire dalle costrizioni di un padre padrone, chiede a Cesare aiuto per guidare i profughi oltre il confine. Cesare grazie a Sergio passa a Sonja dei documenti che incastrano i trafficanti di droga e accetta finalmente di aiutarlo nella trasferta dei migranti, scoprendo durante il viaggio un nemico inaspettato che cerca di ucciderlo.

Il film è tratto dal romanzo di Davide Longo, ambientato negli anni ’80, che descrive un mondo in via di sparizione, quello dei passeur, oggi tornato attuale. “Non volevo fare un film sui migranti, piuttosto un film su come un uomo affronta il suo destino di estinzione, un film sull’amore, l’amicizia, la morte. Il che ovviamente ha che fare anche con i migranti”, spiega il regista. Il destino di Cesare sembra segnato, attraversa quel confine forse per l’ultima volta, ma passa il testimone al giovane Sergio. “Alla fine c’è la speranza per la nuova generazione, per ragazzi come Sergio che hanno il coraggio di ribellarsi, che hanno desiderio di giustizia”.

Il romanzo è stato proposto a Bellucci dal produttore Enzo Porcelli e contiene dei temi che lo interessano molto: quello della relazione tra padri e figli, padri senza figli e figli senza padri. C’è anche il tema dei migranti e del passeur ma all’epoca sembravano stravaganti perché solo nel 2017 le montagne piemontesi tornano d’attualità per questi fatti. “Mi interessavano i personaggi: il giovane che cerca di uscire da questa valle chiusa e mortifera e lo spallone che sta lì chiuso in se stesso, in questa morte annunciata. Il romanzo era scritto in forma cinematografica, ma era stimolante e Davide, lo scrittore del libro, è stato coinvolto in un secondo tempo e insieme abbiamo riscritto la prima versione della sceneggiatura”.

“Il libro è nato all’inizio del 2000 quando la questione dei transiti alle frontiere era legata a sporadici episodi, in realtà arriva dal mio amore per uno scrittore, Francesco Biamonti, che raccontava di questi attraversamenti nella zona di Ventimiglia – afferma l’autore del libro Davide Longo – Non ho fatto altro che spostare questo scenario dei passeur nelle valli del cuneese. Il cuore del libro è la figura del passeur, questa metafora un po’ romantica di qualcuno che raccoglie delle vite che provengono da posti lontanissimi e le traghetta per poche ore, durante la notte, lasciandole poi andare. Il libro è un noir ambientato tra le montagne, e nella sceneggiatura l’ho mantenuto, e mi sono concentrato sul rapporto tra il giovane e il passeur, una sorta di legame padre e figlio, rivoluzionando la struttura della storia”.

Per il regista il film è un ibrido di generi, un noir duro e amaro con un apparato western, dal ritmo lento, dai toni freddi, con i dialoghi essenziali e una trama minimale. “I luoghi e i paesaggi sono quelli dell’anima, riflessi di stati d’animo di Cesare e di Sergio”. Un modo alpino ormai in abbandono e una comunità disgregata dalla modernità. Il regista sta lavorando a un progetto che completerebbe quella sorta di trilogia iniziata con il documentario Grozny Blues che narra di persone in fuga dalla loro terra. La seconda parte, Il mangiatore di pietre, ha per protagonista un uomo che fa entrare queste persone nella fortezza Europa; la terza parte parlerà di qualcuno che vive da tempo dentro questa fortezza, racconterà come si vive nella ‘stranieritudine’.

Stefano Stefanutto Rosa
27 Novembre 2018

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