Giovannesi & Saviano: “La paranza? Innocenza e crimine”

Debutta alla Berlinale, in concorso, l'atteso film di Claudio Giovannesi tratto da romanzo di Roberto Saviano, dal 13 febbraio in sala con Vision Distribution


BERLINO – Iniziazione criminale, con quel passaggio inarrestabile dal gioco infantile alla ferocia adulta, portatrice di morte. Claudio Giovannesi parla de La paranza dei bambini, l’atteso film tratto dal romanzo di Roberto Saviano, con lo scrittore napoletano in prima linea nella scrittura, insieme a Maurizio Braucci e allo stesso Giovannesi. Un’opera, molto ben accolta a Berlino, unico italiano in concorso, dal 13 febbraio è in sala con Vision Distribution. Ad accompagnarlo al festival, oltre agli autori, il giovane cast, tutti esordienti scelti con sapienza in un casting tra 4.000 ragazzi tra i 14 e i 18 anni. Primo fra tutti il bravissimo Francesco Di Napoli, che emerge dall’impianto corale come Nicola, piccolo boss a capo di una banda di coetanei (si chiamano Tyson, Biscottino, Lollipop, O’Russ, Briatò): così la ricerca della felicità per questi ragazzini appena usciti dall’infanzia diventa ossessione per il denaro facile e il potere che ti viene dato dal’impugnare un’arma carica.

Ispirato alle cronache e con il dato dell’abbandono scolastico e dei destini senza via d’uscita di sottoproletari con padri assenti e madri impotenti, La paranza dei bambini, prodotto da Carlo Degli Esposti e Nicola Serra in collaborazione con Sky Cinema e Timvision, porta avanti una scelta sentimentale e calda, molto in sintonia con la sensibilità del 40enne Giovannesi (Alì ha gli occhi azzurri, Fiore) che non spettacolarizza mai la narrazione e lascia ai volti dei giovani interpreti – affiancati tra gli altri da Renato Carpentieri nel ruolo di un boss agli arresti domiciliari – la possibilità di mostrare tutta la gamma di sfumature emotive, dall’incoscienza alla rabbia, dall’amore alla voglia di riscatto. 

“Il tema dell’innocenza e della perdita dell’innocenza – spiega Giovannesi – era fondamentale nel libro. Così la macchina da presa doveva stare sui volti, vicino ai personaggi, per provare empatia e sentire la loro umanità, e spero che anche il pubblico condivida questo processo di conoscenza”. I ragazzi, racconta ancora il regista, non hanno letto il libro né la sceneggiatura e “abbiamo girato in sequenza per farli vivere insieme ai personaggi”.

Ancora una volta un’immagine drammatica, senza speranza, del Meridione? Per Saviano: “Napoli contiene tutte le facce e le contraddizioni, in questo modo siamo entrati in una delle ferite del nostro tempo che ritroviamo in Sudamerica come in Bulgaria. Per trovare la propria strada, spesso si usa la scorciatoia della pistola che è come una lampada di Aladino. I baby killer purtroppo esistono da tempo, ma i paranzini si sono installati sui vuoti di potere, per la prima volta hanno scalato le gerarchie camorriste e sono arrivati ai vertici, è una sorta di nuovo Medioevo”. E sulle differenze tra libro e film: “Il romanzo è uno studio del potere, il film è fenomenologia del sentimento, perché un ragazzino che fa una scelta del genere, tempo tre o quattro anni crepa. Mentre il gioco è reversibile, quando diventa guerra non permette ritorno”.

Ed ecco quindi che il film si apre con l’episodio (realmente accaduto) del furto dell’albero di Natale della Galleria Umberto. Un gioco, sia pure dal sapore tribale, che prelude e prefigura scelte sempre più estreme del gruppo di amici: spacciare droga, procurarsi delle armi, cercare alleanze, fare piazza pulita dei concorrenti e prendersi i quartieri, proprio come gli adulti, in un’educazione criminale da cui i grandi e ancor più le istituzioni, sono del tutto assenti. “Oggi è scomparsa la prospettiva politica – dice ancora Saviano – i ragazzi fanno riferimento a soluzioni individuali. I numeri della disoccupazione meridionale sono impressionanti e l’unica alternativa sembra emigrare. Ogni anno se ne vanno in tanti, una città come Verona si svuota. E’ la fine della speranza. Ma se investi 1.000 euro in cocaina, dopo un anno avrai 182mila euro, con 5.000 euro hai svoltato per sempre. Ovunque nel mondo la scorciatoia per fare i soldi è il narcotraffico e i soldi ormai sono tutto. I desideri di questi ragazzi sono identici a quelli dei loro coetanei ovunque, a Berlino come a Milano”.

Interviene Francesco Di Napoli, occhi scuri e dolcissimi, una faccia che buca, barista al Rione Traiano. Racconta come per molti suoi coetanei lavorare sia una cosa “stupida”. “La scuola, le istituzioni, il lavoro… tutto è assente. Il padre è in carcere o non c’è proprio oppure sta sempre fuori. Quando la produzione mi ha cercato per il ruolo, dopo aver visto una mia foto, pensavo volessero truffarmi, non mi fidavo. Tanto che al primo provino non mi presentai”. Spiega Giovannesi, autore che ha uno speciale tocco con gli adolescenti: “Volevo tre caratteristiche da questi ragazzi: un volto innocente, lontano da ogni iconografia criminale, l’esperienza diretta della vita in questi quartieri e un talento innato per la recitazione, la capacità di mostrare la fragilità dei personaggi, di scaldare il film”. Come ha fatto a mantenere il suo stile raccolto, intimo, in una produzione tanto più grande rispetto alle precedenti? “Quando i produttori mi hanno proposto il progetto, è stato naturale per me conservare il punto di vista di sempre. Potevo fare un film diverso, voyeuristico, ma io volevo raccontare del crimine l’innocenza, il gioco, lavorare sul binomio tra gioco e guerra. Il protagonista insegue una ricerca del potere illusoria, cerca di fare il bene attraverso il male, vuole portare giustizia nel suo quartiere. Ma per diventare un criminale deve rinunciare alla propria età, all’amore e all’amicizia, e quando prova a tornare indietro capisce che la sua scelta è irreversibile”.

Regista anche di alcuni episodi della seconda stagione di Gomorra la serie, Giovannesi ha però scelto una strada molto diversa: “Quello è un lavoro di genere, un crime”. Un timore presente era quello di essere ricattatorio, pornografico. “Con i bambini c’è sempre il rischio della retorica, del melodramma, abbiamo lavorato in sottrazione”.

Interviene ancora Saviano sul tema dell’assenza dei genitori. “Un padre che non riesce a pagare il mutuo, non ha più autorevolezza. I paranzini hanno due atteggiamenti verso i genitori, o li accudiscono o li disprezzano. Un esempio concreto e reale è la stanza da letto importante che viene data al figlio 14enne. Cambiano le gerarchie di potere dentro la famiglia. I tuoi figli, diventati camorristi, guadagnano più di te”.

Cosa sapeva Francesco di Saviano. “Quello che dicono i giornali, avevo dei pregiudizi, ora ho cambiato idea, è una persona magnifica”. Nel film anche alcuni personaggi femminili, come smarriti in un mondo tutto maschile. La madre di Nicola (Valentina Vannino) che non fa domande, la fidanzata Letizia (Viviana Aprea) affascinata da quel ragazzo che si fa rispettare. “Nelle paranze – spiega Saviano – il ruolo femminile è quello del silenzio assenso. Letizia adora la potenza di Nicola, il fatto che lui metta paura a tutti. Ma il loro amore non è salvifico. Perché se rinunci alla pistola, non piaci più. Questi adolescenti sono ossessionati dai follower, si fanno la foto con le armi”.

Ancora sull’ambientazione, nel centro di Napoli, tra i Quartieri Spagnoli e la Sanità. “Gomorra è ambientato nell’hinterland – dice Giovannesi – noi abbiamo scelto il centro storico, uno dei pochi rimasti popolari in Italia. Questa è la Napoli di Eduardo e di De Sica. Ma tra i miei riferimenti anche Francesco Rosi e il Rossellini di Germania anno zero, con il ragazzino che prova a giocare tra le macerie. E poi il cinema americano teen degli anni ’80″.

Infine a una domanda di un giornalista svizzero sull’ipotesi di togliere la scorta a Saviano.  “Non dipende da me – dice lo scrittore – ma quello che sta succedendo in Italia è grave, c’è una situazione politica molto seria. Al di là della mia sicurezza, la scorta non è un privilegio ma un dramma, l’Europa non è più territorio sicuro per i giornalisti. Io sono sereno, non mi farò intimidire dalle minacce che il ministro degli Interni continuamente fa. E voglio dire una cosa: è l’unico politico occidentale che indossa la divisa della polizia e questa è un’aggressione alla democrazia”.

Cristiana Paternò
12 Febbraio 2019

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