Berlino chiude in musica con Aretha e i Toten Hosen

Il doc di Sydney Pollack finalmente concluso sulla regina del soul e quello di Cordula Kablitz-Post vor sulla storica punk band fanno coppia in questa ultima giornata di proiezioni


BERLINO – Sono ben due i film musicali che allietano l’ultima giornata di proiezioni della 69ma edizione della Berlinale. Il primo, in concorso, è Amazing Grace, film concerto girato da Sydney Pollack (che porta però la firma del produttore Alan Elliot, per scelta del regista), su una storica esibizione di Aretha Franklin che fino ad oggi non ha potuto vedere la luce a causa di problemi tecnici.

Il secondo, per Berlinale Special Gala, è il docu film Die Toten Hosen – Weil du nur einmal lebst, di Cordula Kablitz-Post vor (con il supporto dell’esperto di immagini onstage Paul Dugdale), che racconta il tour 2018 della seminale punk band di Dusseldorf, tra l’improvvisa malattia del cantante Campino, l’amore dei fan argentini e riflessioni sulla vita onstage. Entrambi i progetti sono interessanti, per quanto muisicalmente agli antipodi, si trovano bene a fare da soundtrack a questa edizione di passaggio della Berlinale.

Il film sulla Franklin risale a 46 anni fa. Intitolato come il celebre inno, è rimasto chiuso negli archivi della Warner, perché la tecnologia dell’epoca non permetteva una buona sincronizzazione delle canzoni al video. Quella performance fu dunque incisa su disco e divenne uno dei dischi gospel più venduti di sempre. Elliott, amico di Pollack, ha comprato il girato ma non è stato in grado di assicurarsi i diritti per la distribuzione del film. “Pollack sapeva di essere malato – spiega in conferenza – e mi consegnò letteralmente i destini del film. E’ stato molto generoso da parte sua. Mi ha detto che io avrei saputo continuarlo al meglio. Gli chiesi anche se voleva che comparisse il suo nome e mi ha detto di no, anche se questo mi ha spezzato il cuore. Una delle immagini che preferisco vede Aretha cantare e Sydney alle sue spalle, filmando”. Nel 2015 il film avrebbe dovuto avere la sua premiere al festival di Toronto, ma  Franklin si rifiutò di concedere il permesso. “E’ questo che succede quando hai a che fare con la regina della musica – dice ancora il produttore – c’è stato un momento per cui chiunque avrebbe pagato milioni di dollari per riportarla a cantare nello stesso luogo del concerto, anche una sola canzone. Ma lei rifiutò. Tutto potevano dire ‘ok, ci parliamo, la convinciamo’ ma la verità è che nessuno aveva il potere di farlo”. Dopo la morte della cantante, i problemi legali si sono risolti. Il film è rispettoso della forma originale, non aggiunge interviste o voce fuori campo. Semplicemente è la ripresa filmata di uno dei più grandi concerti di Aretha, in due incredibili serate che hanno richiamato tra il pubblico anche ospiti importanti come  Mick Jagger e Charlie Watts dei Rolling Stones, che erano in città in quei giorni per registrare l’album ‘Exile On Main Street’ e sono accorsi come studenti ad ascoltare il loro mentore. “Ho provato per anni a contattare Jagger – dice ancora Elliott – ma non ci sono riuscito. Non è uno che ama molto le persone. Poi ho letto un articolo in cui parlava di quel concerto, e della sua esperienza di essere lì”. Anche solo per il certosino lavoro svolto, e per la sua storia travagliata, il film merita di essere visto: “Quando ho cominciato a frugare tra le scatole di girato – dice ancora il produttore – ho trovato una serie di elementi interessanti, ma spezzettati: c’era un nastro VHS con 153 minuti di montato, ma solo parte delle canzoni, e una ricevuta firmata da Alexander Hamilton, che dirigeva il coro, per 200 dollari di sessione di lettura delle labbra. Era il segno che le cose non erano andate bene. C’erano centinaia di pezzi di film senza montaggio, e di tentativo di sincronizzarli con la registrazione audio. Ce n’è voluto di tempo per arrivare a un risultato finale, ma oggi siamo qui”.

Forma invece più classicamente documentaristica per il progetto sui Toten Hosen, con interviste alternate alle entusiasmanti esibizioni della band, formatasi a Dusseldorf nel 1982 e attualmente uno dei pochi gruppi rock tedeschi (insieme ai coetanei Die Ärzte e ai più giovani Rammstein) a ottenere fama internazionale cantando in madrelingua. “Li ho visti dal vivo per la prima volta 15 anni fa – dice la regista – e li ho trovati entusiasmanti. Poi li seguivo su MTV, ho seguito tutti i loro successi. Nessuno ha fatto quello che hanno fatto i Toten Hosen negli anni ’80. Avevo già lavorato con Campino per un paio di trasmissioni televisive e nel 2017 è venuta fuori l’idea del tourfilm. Trovo così emozionante il loro sviluppo nel corso degli anni che credo fosse necessario mostrarlo al cinema. Nella band c’è una chimica perfetta, non litigano su chi è il vero autore del pezzo, dividono tutto in parti uguali. Amo viaggiare con gli artisti che ritraggo, perché on the road si colgono situazioni che non riuscirei a catturare in nessun altro modo. Tutti si trovano bene di fronte a una telecamera, sono molto abituati ai media. Non sono primedonne, sono persone con i piedi per terra”. Durante il tour, però, il cantante ha avuto problemi di salute, con perdita uditiva e necessità di cancellare alcune date: “E’ stato molto brutto – continua l’autrice – pensavo che fosse uno scherzo di cattivo gusto quando me lo hanno comunicato. Ero preoccupata per lui ma anche per il film, anche perché fino ad allora ero riuscita a fare riprese solo a due concerti. Non ci siamo persi d’animo e abbiamo continuato a documentare tutto. Quando le cose si sono risolte è stata un’esplosione di gioia, è rimasto il brivido della paura, sfociato in una grande festa sul tour bus. Drammaturgicamente, il film ci ha guadagnato. Penso che i fan si identifichino molto con i Toten Hosen. Suonano negli stadi ma anche nei piccoli club. E poi c’è il caso speciale dell’Argentina. Hanno iniziato a suonare lì negli anni ’90 e si è creato subito un legame forte con i fan. L’Argentina amava i Ramones, ma oggi i Ramones non ci sono più e dunque è come se i Toten Hosen avessero preso il loro scettro”.

Andrea Guglielmino
15 Febbraio 2019

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