Roberto Saviano: “Quest’Orso è per le ONG che salvano persone in mare”

Lo scrittore è vincitore del premio per la sceneggiatura alla 69ma Berlinale, assieme a Maurizio Braucci e al regista Claudio Giovannesi


BERLINO – “Dedico questo premio alle Ong che salvano le vite nel Mediterraneo. Scrivere questo film ha significato per me raccontare una verità, cosa che è diventata nel nostro paese sempre più difficile. Si parla di invasione di migranti e non si parla di invasione di capitali criminali. Si fermano corpi e si lascia passare il veleno dei capitali”. 

Questa è la dichiarazione di Roberto Saviano, vincitore del premio per la sceneggiatura alla 69ma Berlinale, assieme a Maurizio Braucci e al regista Claudio Giovannesi, per La paranza dei bambini (leggi l’articolo di Cinecittà News) tratto da un suo romanzo. Parla in italiano, per scelta. “Bisogna parlare la lingua della carne”, ha detto. Gli fanno seguito i due compagni d’avventura. Per concludere, oltre alle ong, lo scrittore dedica il premio “ai maestri di strada che salvano vite nei quartieri popolari”.

“L’amicizia è un ingrediente essenziale per la riuscita di una storia – dice Braucci – e noi abbiamo lavorato in grande regime di amicizia. Il premio è dedicato ai ragazzi del Sud che hanno bisogno di supporto, più di quanto ne abbiano ora. E per questo è importante proprio l’amicizia, tra l’Italia e gli altri paesi”.

Giovannesi, il regista, parla per ultimo, oltre a ringraziare tutti quelli che lo hanno aiutato a realizzare il film, Saviano per averlo scelto e il festival per averlo selezionato, sottolinea la dedica del premio all’Italia stessa, “con la speranza che l’arte, la cultura e l’educazione tornino a essere una priorità”.

Più tardi, in conferenza stampa, il terzetto racconta ancora una volta le tappe della realizzazione di un film che ha emozionato la platea berlinese, conquistata anche dall’energia dei giovani protagonisti. “Da dove siamo partiti? – spiega Giovannesi – Il primo impulso è stato di Saviano, questo scrittore mi ha fatto un dono e da qui è partito tutto”.

Interviene lo scrittore napoletano: “Volevamo raccontare una storia di bambini che nel momento in cui decidono di cambiare le sorti della propria vita iniziano una guerra, li abbiamo guardati con un occhio alla loro umanità pur senza nascondere la ferocia della loro scelta”. Per Braucci, coautore dei film di Matteo Garrone, “è una materia dolorosa quella di questi ragazzini portati a fare questa vita perché sono stati abbandonati a loro stessi. È scandaloso. E spero che il film serva a prendere consapevolezza di qualcosa che accade a Napoli come accade in molte parti del mondo. Ci accusano di raccontare storie cruente, ma queste sono storie reali, magari potessimo raccontare la gioia”.

Saviano, lo scrittore costretto a vivere sotto scorta, racconta: “Non so se il mio sia coraggio, mi sono trovato in questa situazione. Vivo tra due forze opposte, una mi ricorda che sono condannato a morte, l’altra pensa che sia tutto finto, una fake news. Se non mi ammazzano, significa che non è vero che sono in pericolo. Ma scrivere, come ho detto, per me è resistere. Quando l’Italia si muove per raccontare la realtà viene ascoltata e questo è un grande onore”. Conclude Giovannesi sullo stile del film, che evita qualsiasi spettacolarizzazione: “Non avevamo davanti dei criminali, degli spacciatori, ma dei ragazzi che potevano essere nostri figli o fratelli, insomma degli esseri umani, La paranza dei bambini non è un film di denuncia o su Napoli, ma un film sull’adolescenza, quindi su tutto il mondo. La stessa empatia che avevamo per i ragazzi, la trova il pubblico quando vede il film. E’ la forza e la grazia dell’umanità”.

E’ comunque una lunga e intensa cerimonia di premiazione quella che conclude la 69ma edizione della Berlinale. Dopo l’iniziale omaggio a Bruno Ganz, ci vuole il tempo necessario per salutare il direttore uscente Dieter Kosslick, omaggiato con un simpatico video scherzosamente chiamato Berlinian Rhapsody, presentato dalla sempre spumeggiante conduttrice Anke Engelke. Tra il pubblico c’è anche Carlo Chatrian, che prenderà il posto di Kosslick l’anno prossimo. L’attuale direttore se ne va al grido di ‘Let’s rock!’, ringraziando i suoi più stretti collaboratori e la conduttrice stessa a cui consegna una chiave ‘per il suo cuore’. Lei risponde celebrandolo come la più grande delle star, e dichiarando che ‘i figli di George Clooney lo chiamano papà’.

Quando è il momento di annunciare i premi, la presidente di giuria Juliette Binoche ci tiene a specificare “quanto ci sia dispiaciuto non poter avere in selezione il film One Second di Zhang Yimou, un regista che si è sempre dimostrato una voce essenziale per il cinema internazionale. ‘Un secondo’ di arte e cinema può significare molto in termini di trasformazione delle nostre menti e delle nostre vite. Il cinema può farlo. Il film ci è mancato e speriamo di vederlo presto in sala”.

Il primo premio, l’agognato Orso d’oro, va a Synonymes dell’israeliano Nadav Lapid, che dedica commosso il premio a sua madre, montatrice del film stesso, scomparsa durante le riprese. E’ un film autobiografico, che racconta la fuga di un giovane dal suo paese d’origine e il processo di rinuncia alla sua identità culturale, a partire dalla lingua. Giura infatti di non pronunciare mai più una parola ebraica, e per questo deve usare molti sinonimi per farsi capire in Francia. “E’ un film che può scandalizzare – dice il regista – ma io spero che il pubblico capisca che dietro la furia, la rabbia e l’odio c’è l’emozione che ci rende tutti fratelli e sorelle”. La ricerca condotta dall’autore israeliano – che vanta tra i suoi film The Kindergarten Teacher – ha conquistato anche la giuria della critica che gli ha assegnato il Premio Fipresci. “Spero che il pubblico non lo veda come un film radicale – ha detto ancora Lapid – perché è un film esistenzialista e umano, una celebrazione del cinema, con persone che danzano, cantano, fanno l’amore, parlano di politica e di se stessi. Spero che trasmetta una verità profonda, perché quello che più mi interessa è la verità del momento presente. Non è un film politico, non si tratta di destra o di sinistra ma di qualcuno che fugge da un paese dove non ci si possono porre domande, e va verso una melodia umana da cui è al contempo attratto e spaventato”. 

Tra i favoriti della critica c’era Grace à Dieu di François Ozon, sullo spinoso tema della pedofilia e dell’omertà nella Chiesa cattolica, che porta a casa un meritato Gran Premio della Giuria (ma il regista francese è apparso lievemente deluso nel salire sul palco). Ozon insiste sul fatto che il film rompe il silenzio della Chiesa cattolica in Francia. “Questa è una storia vera, accaduta a Lione, ma è stato difficile produrre il film e si sta rivelando difficile anche mostrarlo nelle sale, perché ci sono molte persone che si oppongono alla distribuzione del film che dovrebbe uscire il 20 febbraio. Continuiamo a lottare contro questa resistenza e il premio ci aiuterà a continuare questa battaglia”. E aggiunge: “Mi ha interessato il percorso di un uomo di 40 anni che, molti anni dopo i fatti, decide di denunciare e si unisce ad altre vittime degli abusi. Ecco un modo per rompere il muro del silenzio”. Ozon non lo considera un film diverso dai suoi precedenti: “Cerco sempre di adattare il mio stile alla storia che racconto, in questo caso era complicato confrontarsi con la storia di persone reali che stanno ancora soffrendo le conseguenze degli abusi”. 

Inaspettata invece la miglior regia ad Angela Schanelec per il destrutturato e disorientante Ich war zu Hause, aber… Altra cineasta tedesca sugli scudi è la giovane Nora Fingscheidt che con System Crasher ha consegnato al festival il ritratto di una bambina ribelle e irriducibile, refrattaria a qualsiasi regola e norma, rifiutata dalla madre e “intrattabile” per il sistema. Alla fine sono due, su sette registe in concorso, le donne segnalate dalla giuria guidata da Juliette Binoche in un’edizione che ha sottolineato fortemente il tema dell’uguaglianza di genere. 

Miglior attore e miglior attrice (Wang Jingchun e Yong Mei) vengono dallo stesso film, il monumentale dramma familiare cinese So Long, My Son.  Resta a secco l’altro gran favorito, il macedone God Exists, Her Name is Petrunya di Teona Strugar Mitevska, che ha invece raggiunto un buon risultato con i premi collaterali.

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