Iñárritu contro muri e paranoia da nuovi media

"Sono assolutamente contrario a quello che succede nel mondo ai migranti, il problema è l'ignoranza: quando le persone non sanno è più facile manipolarle",


CANNES – Non sembrava essere quest’anno tra le questioni principali del Festival, ma il dibattito su Netflix e, più in generale, sulla distribuzione attraverso le piattaforme di streaming, ha fatto nuovamente capolino nella conferenza stampa di presentazione della giuria, dove un quanto mai loquace presidente Alejandro Gonzalez Iñárritu, ha ampiamente parlato della differenza tra il vedere e il sentire, l’uno appannaggio di una fruizione solitaria, l’altro dell’esperienza comunitaria della sala. “Guardare e vedere sono due cose differenti – ha sottolineato – vedere non è sperimentare né sentire. Il cinema è nato per essere vissuto come un’esperienza comunitaria in cui si condividono le emozioni. Non ho nulla contro il vedere un film su un telefono, un iPad o un computer, anche io a volte lo faccio, ma so che guardarlo al cinema è un’altra cosa. Un po’ come ascoltare Beethoven in macchina con degli altoparlanti ridicoli: non c’è nulla di male ma sarebbe disastroso se non ci fosse l’opportunità di ascoltare un’orchestra suonare. In questo momento ci sono grandi registi in tutto il mondo, ma, a volte, è difficile vedere i loro film per problemi distributivi, penso ad esempio al Messico dove ci sono poche sale d’essai che resistono. Netflix sta facendo un ottimo lavoro nel colmare questo vuoto, ma mi auguro che venga data alle persone la possibilità di non lasciare morire l’esperienza comunitaria della sala, e tutto il fascino visivo che porta”.

Primo regista messicano a presiedere una giuria, Iñárritu non può che porre in primo piano la questione dei migranti. Lo fa senza citare apertamente Trump e le sue politiche sui flussi migratori, ma è ben chiara la sua posizione rispetto al famigerato muro tra Messico e Stati Uniti, di cui ha già dato visione nel 2017 con l’emozionante e coinvolgente Carne Y Arena, film in realtà virtuale presentato proprio a Cannes. “Quel film è stato il mio modo di rispondere a quello che sta succedendo in tutti i confini del mondo, non solo in Messico. Non sono un politico e come artista posso esprimere quello che penso attraverso il mio lavoro e con il cuore aperto. Sono assolutamente contrario a tutto quello che accade rispetto ai migranti e ritengo che il vero problema sia l’ignoranza: quando le persone non sanno, è più facile per i governi manipolarle. Abbiamo dimenticato con tanta facilità cosa è già successo in passato, e pensiamo che ci stiamo evolvendo attraverso la tecnologia e i social network. Ma i nuovi media, in realtà, stanno solo creando isolamento e paranoia” .

Ad affiancare il Premio Oscar Iñárritu nella difficile scelta per l’assegnazione della Palma d’Oro, una giuria espressione di nazionalità diverse e che vanta un ugual numero di giurati uomini e donne:  Elle Fanning, che a 21 anni è la giurata più giovane della storia del Festival, “orgogliosa di rappresentare una voce della mia generazione”, insieme a Enki Bilal, Robin Campillo, Yorgos Lanthimos, Pawel Pawlikowski, Maimouna N’Diaye, Kelly Reichardt e la nostra Alice Rohrwacher, habitué della Croisette, già due volte premiata a Cannes. Che rispetto alla questione del momento, la parità tra i sessi, precisa: “Se ne fa un gran parlare ma il problema secondo me è a monte. Sono contenta di vedere che qui siamo ben rappresentate, ma la gente continua a chiederci com’è essere una regista donna, che è un po’ come chiedere a qualcuno che è sopravvissuto a un naufragio perché è ancora vivo. Magari si dovrebbe interrogare chi ha costruito la barca”.

Carmen Diotaiuti
14 Maggio 2019

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