Delitto e castigo a Roubaix per Desplechin

Il francese Arnaud Desplechin è a Cannes, in concorso, con Roubaix, une lumière, polar d'autore che ruota attorno a una figura di poliziotto santo. Nel cast anche Sara Forestier e Léa Seydoux


CANNES – “Dopo Les fantômes d’Ismaël, un fuoco d’artificio di finzione, avevo bisogno di deporre le armi davanti agli attori e filmare la mia città natale, Roubaix. Mi sono ricordato di un fatto di cronaca che aveva impressionato me e tante altre persone, l’omicidio di una anziana strangolata da due donne e così ho costruito una storia che usa veri poliziotti e persone del luogo, insieme ad attori professionisti e a una scrittura che deve molto a Delitto e castigo di Dostoevskij, un libro a cui pensavo tutti i giorni”. Il francese Arnaud Desplechin è a Cannes, in concorso, con Roubaix, une lumière, polar d’autore che ruota attorno a una figura di poliziotto santo, l’ispettore Daoud, interpretato con finezza dall’attore franco-marocchino Roschdy Zem, un uomo buono, che sa ascoltare, che non giudica nessuno, solo e insonne, forse con qualche dramma nel suo passato. Nel freddo del periodo natalizio lo vediamo impegnato, insieme a un poliziotto cattolico appena arrivato nel commissariato (Antoine Reinartz) in tre casi con al centro alcune ragazze. Che siano vittime o colpevoli queste donne – la tredicenne violentata nella metropolitana, la giovane scappata di casa, le due assassine di una vecchietta – vengono sempre comprese da Daoud. “Questo poliziotto – prosegue Desplechin – non si chiede mai perché ma soltanto come. Come è avvenuto il crimine. Due donne che hanno compiuto qualcosa di disumano lui è in grado di riportarle a una dimensione umana, consapevole che la morte non è mai premeditata, che accade e che può accadere a tutti di fare una stupidaggine. Per me Daoud rappresenta le istituzioni che ci proteggono dallo stato di natura, dal mondo selvaggio. Ha sempre una parola di consolazione per le persone che arresta”.

Tra i suoi punti di riferimento, oltre a Dostoevskij, anche il documentarista americano Frederick Wiseman e un film di Alfred Hitchcock che l’ha accompagnato durante le riprese Il ladro del 1956, dove il mago del brivido aveva portato la sua ossessione per il realismo filmando nei luoghi stessi dove gli eventi reali si erano svolti. Il cineasta vuole invece rimarcare la distanza dal poliziesco televisivo, a cui qualcuno ha accostato il suo Roubaix, une lumière. “In televisione ci sono tanti polizieschi che non rivelano nulla. ma il mio commissario quando parla con le donne arrestate si mette in contatto con la loro anima. E questo è il privilegio del cinema, toccare l’anima, una cosa che la televisione non può e non sa fare. Qualcuno mi ha chiesto se Daoud sia un prete o uno psicoanalista. Non è religioso, ma è capace di contattare la profondità delle persone. Sa sempre se le persone sono colpevoli o innocenti perché si mette nei loro panni. Ha una autentica passione per la verità, e questo lo porta vicino alla grazia”.

Il film descrive molto bene la città di Roubaix, una città di frontiera con il Belgio, industriale ma decaduta, multietnica, dove si respira povertà e solitudine. Ma Desplechin avverte: “Non volevo chiudere le persone in una sorta di determinismo sociale con l’equazione poveri uguale criminali. Per forza tutti siamo condizionati dalla posizione sociale, ma il cinema come ripeto può fotografare una sola cosa, l’anima, quel qualcosa dentro di voi che resiste a tutto e questo io cerco non spiegazioni sociologiche”. Le due protagoniste femminili sono Léa Seydoux e Sara Forestier, nel ruolo di due donne alcolizzate e molto povere, una delle quali ha un figlio. Condividono un’esistenza marginale e il furto a casa dell’anziana si volge in tragedia quasi inconsapevolmente. “Girare questo film – spiega Sara Forestier – era come indossare uno scafandro e andare sempre più in profondità giorno dopo giorno. Com’è possibile che dentro tonnellate di mostruosità ci sia tanta grazia? mi chiedevo. Eppure è così”.

Cristiana Paternò
23 Maggio 2019

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