Registe russe in attesa di una new wave

Tavola rotonda a Pesaro con le registe Marianna Sergeeva (Vacanze) ed Elizaveta Stišhova che ha presentato il pluripremiato Sulejman Mountain, e l’attrice Maria Borovicheva


PESARO – Decimo anno di Sguardi russi alla MINC con due lungometraggi e tre formati brevi tutti a firma femminile. L’incontro con le autrici è stato moderato dalla curatrice della sezione Olga Strada. La responsabile del Centro dei festival cinematografici e programmi internazionali Irina Borisova ha messo in risalto i molti punti di contatto tra Pesaro e Mosca: “Il tentativo è quello di cercare di invitare autrici che, seppur giovani, hanno già elaborato uno stile ed una sensibilità ben definite, alimentando un interesse per il cinema russo che fino ad ora non è mai calato”.

A prendere la parola le registe Marianna Sergeeva (che ha diretto l’opera prima Vacanze), Elizaveta Stišhova che ha presentato in Piazza del Popolo il pluripremiato Sulejman Mountain, e l’attrice Maria Borovicheva, protagonista della storia di formazione The Port, di Aleksandra Streljanaja.

Sergeeva, nata nell’89 in una città siberiana, ha spiegato come la scuola del documentario di Marina Razbezkina abbia avuto su di lei un’influenza determinante. “Per cogliere la realtà occorre attenersi a rigide regole e utilizzare specifiche tecniche di lavoro, come il divieto dello zoom, della musica extradiegetica, o di qualsiasi altro escamotage fuorviante per la verosimiglianza della resa attoriale”. Il suo film è la storia di una famiglia allargata in una piccola città e della visita del fidanzatino 17enne di una delle figlie per le feste di Natale. “Molti festival internazionali – ha proseguito la cineasta – ci chiedono film che mostrino la situazione politica e sociale russa. Io invece voglio raccontare l’aspetto umano della vita delle persone semplici. Questo non significa che non sia interessata alla politica del mio paese, per me è una scelta artistica”. 

La moscovita Elizaveta Stišhova ha illustrato il suo lavoro nel dettaglio: “Volevo raccontare i quattro protagonisti cercando di limitare il più possibile l’influenza registica, favorendo la libertà degli interpreti, in comunione con gli elementi che caratterizzano il cinema-documentario”. Il suo film racconta la vicenda di una famiglia sui generis, quella composta da Zypara, una sciamana, che tenta di riconquistare le attenzioni del suo uomo Karabas, camionista dedito al gioco d’azzardo e innamorato di una giovane che ha messo incinta. Zypara si fa consegnare un ragazzino dal locale orfanotrofio e tenta di convincere Karabas che il ragazzino è Uluk, il figlio che credevano morto. Ma il film indugia soprattutto sul contesto con i riti sciamanici legati alle credenze nate attorno al monte Sulejman, ritenuto magico dai Kirghizi, di religione islamica. La regista nega l’esistenza di una new wave del cinema russo. “Le cose cambiano di continuo, ci sono diverse correnti, non siamo come la Romania, dove il nuovo cinema ha un’identità precisa”. E conta molto sulla scuola di cinema creata da Sokurov nel Caucaso: “Registi formati lì hanno realizzato film di debutto notevoli per stile e linguaggio, forse proprio da loro verrà una nuova onda”.  

La giovane attrice Maria Borovicheva ha raccontato l’esperienza vissuta sul set di Il Porto, in cui interpreta una ragazza rimasta invalida per un incidente. “Per immedesimarmi meglio nel ruolo ho deciso di girare per le strade di San Pietroburgo in sedia a rotelle, avvertendo la sensazione di invisibilità che le persone disabili sono costrette a provare ogni giorno”.

E Olga Strada indica uno degli eventi cinematografici dell’anno in Dau di lya Khrzhanovsky, un progetto a cui il regista ha lavorato per dieci anni raccontando la biografia di un matematico sovietico, il Premio Nobel Lev Landau. Le riprese si sono svolte in varie parti del mondo ma soprattutto in una location straordinaria, l’Istituto, appositamente costruita in Ucraina, dove gli attori hanno dovuto vivere 24 ore su 24 per tre anni. Per la premiere a Parigi sono stati proiettati 12 film in una installazione immersiva. Il progetto consta di 700 ore di girato che daranno vita anche a una serie tv e vari documentari scientifici.

Cristiana Paternò
20 Giugno 2019

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