Dalla Spagna un cinema di barricata

Il cinema spagnolo ha recentemente conosciuto un grande boom di debutti al femminile anche grazie alle quote e la MINC ne ha dato conto con la sezione Mujeres de cine


PESARO – Il cinema spagnolo ha recentemente conosciuto un grande boom di debutti al femminile anche grazie alle politiche mirate a questo scopo e la MINC ne ha dato conto con la sezione Mujeres de cine. A curarla, con Pedro Armocida, Annamaria Scaramella, organizzatrice del festival indipendente “Márgenes” di Madrid, aperto al cinema di avanguardia e alle nuove tendenze. Ed è stata lei a introdurre il panel a cui hanno preso parte tre delle cinque cineaste presenti nel focus: Andrea Jaurrieta, autrice di Ana de día, Diana Toucedo (Trinta lumes) e Anxos Fazans, regista di A estación violenta.

Ana de día, proposto a Cinema in Piazza, opera prima della Jaurrieta che ha ottenuto anche una nomination ai Goya, è una storia di sdoppiamento. La giovane Ana, destinata a una vita borghese dopo la laurea e con un matrimonio all’orizzonte, scopre un giorno che una se stessa identica a lei si è fatto carica di tutti i doveri e responsabilità familiari e lavorative. Invece di sentirsi spodestata, vive questa presenza come una liberazione che le permette di sperimentare un’esistenza alternativa in cui la sessualità ha largo spazio ricominciando da zero. “Il film – spiega la regista 33enne di Pamplona – affronta il tema dell’identità e delle convenzioni sociali, ponendo la domanda se sia possibile fuggire da se stessi”. L’autrice ha illustrato il travagliato percorso produttivo: ha iniziato a scrivere a Roma nel 2011 grazie a una borsa di studio. “Il tutto è durato otto anni, con un budget molto limitato perché in Spagna c’era la crisi, che c’è ancora, e le continue difficoltà mi hanno condotta ad assumere il totale controllo sulla mia idea ricoprendo il ruolo di produttrice, sceneggiatrice e regista. Questo mi ha garantito una totale libertà espressiva. Non lo rifarei ma è stata una grande esperienza”.

Tra i suoi punti di riferimento cita il cinema italiano, e in particolare Fellini, e poi gli anni ’80 in Spagna, con Almodovar e Bigas Luna, ma anche Fassbinder e Bunuel. Una curiosa notazione personale riguarda il montaggio: “La prima versione durava tre ore, ma era come un salame affettato. Poi sono passata a due ore e mezza, a me piaceva ma alla gente no. E come produttrice sentivo di dover ascoltare quello che mi dicevano. Insomma, alla fine sono andata dallo psicologo per arrivare a un film di un’ora e 45 e sono molto contenta di aver dato retta ai consigli, penso che i tagli abbiano funzionato”. Sui punti in comune con le altre autrici, dice: “Ci unisce aver iniziato con la crisi e aver imparato a fare cinema con pochi mezzi, questo ha cambiato il concetto di produzione. Io lotto per un cinema intermedio, autoriale e senza bisogno di avere alle spalle grandi produzioni ma che arrivi al pubblico. E’ un cinema che sta scomparendo”. Ana de dia ha avuto la sua prima a Malaga dove un distributore spagnolo l’ha comprato. “Il prestigio dei festival aggiunge valore al film, così come la comunicazione attraverso tutti i media possibili e le interviste, ne abbiamo rilasciate a centinaia”.

A estación violenta è il primo lungometraggio di Fazans, ma l’autrice non ha avuto problemi di fondi. “Questo è quasi un film su commissione, nasce da un produttore che ha comprato i diritti del romanzo di Manuel Jabois e che, non contento di varie versioni di sceneggiatura, me l’ha affidato. Proprio a me, appena uscita dalla scuola di cinema e con appena due corti alle spalle, allora 23enne. La sfida era trasformare questo lavoro in un progetto intimo, personale. Ho riscritto tutto da sola per un anno e mezzo e sono riuscita a rimettere tutto in discussione”. Si racconta in chiave molto libera e con la macchina da presa attaccata ai corpi degli attori, la vita disordinata di Manuel, aspirante scrittore che ama l’alcol e le droghe e non trova la giusta concentrazione per scrivere. L’incontro con un’amica di gioventù gravemente malata rimette in gioco le sue emozioni e le pulsioni. 

Per la giovane cineasta riferimenti importanti sono Joachim Trier e Andrea Arnold, insieme ai più classici Rohmer, Jarmusch e Lynch. Fondamentale l’ambientazione in Galizia, nella città di Santiago e sulle spiagge di Pontevedra, ma anche la lingua parlata con le sue radici portoghesi. Per quanto riguarda la situazione dei cineasti, Fazans sottolinea la grande precarietà che tutti vivono: “Come nella società i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, accade anche ai registi, perciò occorre un cinema di barricata”.

Galiziana ma residente a Barcellona anche Diana Toucedo, che con Trinta lumes è approdata a Berlino. Anche quest’opera ha richiesto una lunga gestazione. “Ho iniziato nel 2012 in un momento di crisi, in cui era difficile trovare fondi pubblici. Ho ottenuto una parte dei soldi in Galizia, ma con il vincolo che sarebbero arrivati dopo quattro anni. Dopo qualche perplessità abbiamo deciso di usare questo tempo per fare delle ricerche e vivere nella comunità di O Courel, protagonista della storia, un luogo rurale nelle montagne della Galizia. In questo modo gli abitanti sono entrati completamente dentro al progetto e l’hanno condiviso con noi”. Al centro del lavoro il concetto del tempo, “è una mia ossessione dato che nasco come montatrice. In questa comunità il tempo non è concepito in modo lineare, come un passaggio diretto dal passato al presente al futuro ma come intreccio di questi piani, specie il passato è molto vivo. Questo è connesso alla concezione della morte, non termine ultimo ma trasformazione. Questi sono stati i due pilastri del lavoro, il tempo e la morte”. Per la 47enne cineasta l’elemento più interessante del nuovo cinema spagnolo è la ricerca di una nuova grammatica e la sperimentazione nonostante le difficoltà produttive. “Ora l’industria è tutta concentrata sulle serie tv e alimenta il grande sogno di Netflix. Ma è importante combattere la narrazione egemonica che si sta imponendo attraverso le piattaforme e difendere una produzione più autoriale”. L’alternativa per Diana Toucedo sono i tanti mondi distributivi, dai festival ai cineclub alla rete in una visione non monolitica. 

Cristiana Paternò
21 Giugno 2019

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