Francis Ford Coppola: “Cinecittà rappresenta l’Italia nel mondo”

Il grande regista americano è a Bologna, ospite del festival Il Cinema Ritrovato. E parla del final cut di Apocalypse Now, del nuovo progetto Megalopolis e degli studios di Via Tuscolana


BOLOGNA – “Apocalypse Now è stato il primo film che parlava della guerra del Vietnam, argomento che fino a quel momento era considerato tabù. È vero, Il cacciatore di Michael Cimino è uscito sugli schermi qualche mese prima, ma solo perché il montaggio del nostro film è durato davvero tanto. Sono molto orgoglioso di aver affrontato un argomento rispetto al quale nessuno riusciva a parlare chiaro, in fin dei conti il Vietnam è fino a oggi l’unico conflitto in cui gli Stati Uniti hanno subìto una sconfitta: ecco perché portare quell’argomento nel cinema era un vero e proprio atto di coraggio. E penso che per il festival di Bologna sia un grande onore poter presentare la prima europea di questo montaggio, che a mio avviso è quello davvero definitivo, mi riferisco ad Apocalypse Now – final cut, l’ultima versione di questo film che compie quest’anno quarant’anni”.

Francis Ford Coppola, nonostante l’afa che affligge la sala dove il festival del Cinema Ritrovato ha organizzato il suo incontro pubblico prima della proiezione in Piazza Maggiore del suo film più famoso, risponde con grande naturalezza alle domande che Gianluca Farinelli e Paolo Mereghetti gli pongono, prima che per espressa volontà del regista la parola passi direttamente agli studenti. “Io ho una grande fiducia nei giovani, e questo forse deriva dal fatto che io sono figlio di una famiglia di artisti e musicisti che a loro volta ebbero grande fiducia in me quando mi affacciavo sul mondo dello spettacolo. A volte mi sento anche io giovane, per esempio ho appena visto L’albero degli zoccoli di Ermanno Olmi e mi sono sentito di nuovo uno studente, uno che vuole imparare. Poi ho visto che la Cineteca di Bologna ha come presidente Marco Bellocchio: ebbene, Bellocchio era giovanissimo quando ha diretto I pugni in tasca, un film che ha rappresentato meglio di qualsiasi altro quali erano i problemi e i pensieri dei giovani di quegli anni. Il cinema ha centoventi anni, è un’arte giovane e io penso che i giovani possano dare molto anche perché le tecnologie si evolvono e loro hanno una dimestichezza maggiore con esse”.

Per Coppola, l’importante è studiare, vedere, apprendere. “Io quando ero giovane, come tutti i ragazzi della mia generazione, ero affascinato dai film hollywoodiani, poi però ho iniziato a guardare i film italiani, svedesi, francesi, giapponesi e ho capito che c’era davvero tanto da apprendere. Il mio cinema non sarebbe stato lo stesso se non avessi visto e amato i film di Fellini, Rossellini, Antonioni. Ma anche Roger Corman, il produttore dei miei primi lavori, è stato fondamentale, mi ha insegnato il valore dei soldi e quanto sia importante saperli spendere bene per un film, pochi o tanti che siano. E questo insegnamento mi arriva anche dagli italiani, che sono abituati a muoversi con budget che non sono paragonabili con quelli di Hollywood. Ad esempio, per tornare ad Apocalypse Now, la seconda unità di quel film era tutta italiana e diretta da un italiano, Antonio Brandt. Hanno fatto un lavoro straordinario, senza di loro il film sarebbe stato molto più povero”.

E l’Italia è un costante punto di riferimento per il cinema di Coppola… “Beh, la svolta è sicuramente arrivata con Il padrino, fu decisivo in quel caso l’aver ottenuto la fiducia degli studios che mi assegnarono un progetto così ambizioso anche per le mie origini italiane. La prima cosa che feci fu di scegliere per la musica Nino Rota, che con Fellini aveva scritto dei veri capolavori. Cinecittà è un posto che conosco molto bene, ci ho lavorato spesso, mi sono sempre chiesto perché non esponga fuori la bandiera italiana (Coppola si riferisce agli anni ’80, perché oggi le bandiere italiane all’ingresso sono due, ndr) visto che è davvero un’istituzione e rappresenta l’Italia un po’ in tutto il mondo. Credo che il Centro Sperimentale di Cinematografia, dove studiano i registi di domani, andrebbe trasferito lì perché come dicevo i giovani devono impadronirsi del futuro del cinema. Ed è proprio per i giovani che sto lavorando a un progetto molto ambizioso, Megalopolis, che come impegno non è certo inferiore ad Apocalypse Now. In fin dei conti, a ottant’anni bisogna aver il coraggio di rischiare, no?”.

Caterina Taricano
28 Giugno 2019

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