J’accuse, thriller politico di Polanski

In sala dal 21 novembre L'ufficiale e la spia, sul famoso caso Dreyfus, che divise la Francia alla fine dell'Ottocento


VENEZIA. Roman Polanski, 86 anni, non c’è al Lido a parlare del suo J’accuse, nel Concorso ufficiale, un potente ed elegante thriller politico, più che un dramma storico, sul famoso caso Dreyfus, che dal 1894 fino al 1906 divise la Francia, tra colpevolisti, tanti, e innocentisti, pochi, in un clima fortemente antidemocratico e antisemita, irrazionale, ‘di pancia’. Evidenti nel film sono i rimandi all’oggi, al rinascente razzismo, così come alla storia personale del regista, più volte vittima di persecuzioni.

L’affare Dreyfus ha come protagonista il soldato ebreo francese Alfred Dreyfus, ingiustamente accusato di essere una spia dei tedeschi e quindi processato per alto tradimento. Dreyfus sostiene la sua innocenza combattendo contro un’intera nazione, ma la sentenza condanna “il traditore” ad essere confinato sull’isola del Diavolo, nella Guyana francese. Il caso ha una notevole risonanza mediatica e politica dividendo l’opinione pubblica del tempo. Tra i difensori di Dreyfus si schiera lo scrittore Émile Zola, con un articolo intitolato “J’accuse” in cui chiama in causa i vertici militari, puntando il dito contro l’antisemitismo imperante nella Terza Repubblica francese.

Inizialmente Polanski aveva pensato di raccontare la storia dal punto di vista di Dreyfus, poi convinto che non avrebbe funzionato, ha scelto come personaggio centrale Georges Picquart, un ufficiale dell’esercito francese che svelerà l’innocenza di Dreyfus, si batterà per la sua liberazione e riabilitazione affrontando il carcere. Tutto quello che il film mostra è vero, è una ricostruzione fedele degli eventi e Polanski ha scritto la sceneggiatura insieme a Robert Harris, autore del romanzo da cui il film è tratto “L’ufficiale e la spia”, edito da Mondadori e risultato di ricerche approfondite. Da un romanzo di Harris il regista aveva già tratto nel 2010 il suo L’uomo nell’ombra.

Per Roman Polanski oggi potrebbe di nuovo accadere un nuovo affare Dreyfus, “tutti gli ingredienti sono disponibili: false accuse, pessimi procedimenti giudiziari, giudici corrotti e soprattutto i social media che condannano e condannano senza un processo equo o un diritto all’appello”, dice nelle note di regia. “Lavorare, girare un film come questo mi aiuta molto. Nella storia raccontata, a volte ci sono momenti che ho vissuto in prima persona, come la stessa determinazione nel negare i fatti e nel condannarmi per cose che non ho fatto. La maggior parte delle persone che mi attaccano e mi tormentano, non mi conoscono e non sanno nulla del caso. Devo ammettere che ho familiarità con molti dei meccanismi dell’apparato di persecuzione mostrato nel film, e questo mi ha chiaramente ispirato”.

J’accuse, in sala il 21 novembre con 01 Distribution, è una co- produzione Francia – Italia con la Eliseo Cinema di Luca Barbareschi e Rai Cinema. E proprio Barbareschi, a nome di tutto il cast, apre l’incontro con i giornalisti ricordando che la Mostra non è “un tribunale morale ma un luogo che privilegia l’arte e che tutte le polemiche sono lasciate alle spallee dunque risponderemo solo degli aspetti artistici e produttivi di un film nato parecchi anni fa e di un’attualità sconcertante. Un film che la giuria valuterà per quello che è”.

All’origine si pensava di girare il film in lingua inglese per conquistare i mercati internazionali, e poi si è scelto il francese perché la vicenda, benché universale, aveva coinvolto tutta la Francia, spiega il produttore Alain Goldman. “Il cinema è uno strumento importante per conoscere gli eventi – aggiunge – ma anche una delle risposte più forti all’antisemitismo e all’ignoranza. Nel film il vero eroe è Il colonnello Picquart, un uomo eccezionale che indica la via da seguire”.

Jean Dujardin, che veste i panni del protagonista Picquart, aveva dei ricordi scolastici della vicenda di Dreyfus, ma non conosceva tutti i dettagli”. Come sempre si “è tuffato” più volte nella sceneggiatura per cogliere le sfumature, anche perché “la star del film era la vicenda di Dreyfus e dovevo essere al suo servizio”. Emmanuelle Seigner, nel ruolo dell’amante di Picquart, ammette di avere avuto una conoscenza superficiale dell’avvenimento che ha diviso la Francia dell’epoca. Per l’attrice, che oggi festeggia i 30 anni di matrimonio con Polanski, è sufficiente guardare alla vita di Roman per spiegare il sentimento di persecuzione che si respira nel film.

“Sul set Roman è un regista molto preciso, nelle inquadrature, nella posizione del viso”, dice ancora la Seigner. Per Dujardin è un cineasta molto esigente: “Quello che Roman cerca è la verità a tutti i costi di quello che racconta, da te pretende molto, girando una scena anche 30/40 volte”. Louis Garrel, la vittima Dreyfus, conosceva l’appassionante storia del suo personaggio, “la cui esistenza per 10 anni è stato un inferno. E anche quella dei suoi figli, non dimentichiamolo, che sono stati deportati durante la Seconda Guerra mondiale”. Del resto, aggiungiamo noi, il caso Dreyfus annuncia e prepara la successiva tragedia della Shoah.

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